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Intervista a Stefano Piccoli, un kuore nella notte

Stefano Piccoli, scrittore, disegnatore e tant'altro ancora romano, classe '70, giunge alla sua seconda prova come autore completo con il graphic novel Kuore nella notte, edito dalla Tunué (come la precedente opera Roots 66), per la collana Le Ali, giunta con l'opera di Piccoli alla sua settima uscita.

Immergiamoci nelle atmosfere urbane e hip hop di Roma, e seguiamo Kuore e la One Love Krew pronti a vivere l'ennesima notte di passione, l'ennesima notte fatta di bombolette spray, bozzetti, muri bianchi da trasformare in arte. L'uscita di questo nuovo lavoro di Piccoli, attivo anche ne campo della grafica, del giornalismo musicale e nella direzione artistica di eventi e manifestazioni, ci offre l'occasione per scambiare quattro chiacchiere con l'autore.

Allora Stefano, bentornato su Comicus!

Dal nostro ultimo incontro (qui la precedente intervista) ai tempi dell'uscita di Roots 66 ad oggi sono passati un bel pò di anni. Cosa hai fatto nel frattempo che ti ha tenuto lontano dalle avventure di Kuore e la One Love Crew?
Beh, la cosa più in assoluto più importante che «ho fatto nel frattempo» è stata diventare papà, che mi ha portato via più tempo - e più dedizione, e più impegno, e più attenzioni - di quanto non avessi mai potuto immaginare! Il tempo è un concetto assai relativo, e vola via senza nemmeno che tu te ne accorga. Vero che, non dedicandomici a tempo pieno come tanti miei colleghi, ci ho messo MOLTO più tempo del previsto a terminare KNN (potendolo disegnare solo in tarda serata o nei weekend); ma vero anche che la Tunué, per sue dinamiche editoriali interne più che legittime, ha fatto “slittare” la sua pubblicazione di parecchio altro tempo, rispetto a quando lo avevo terminato. Ma alla fine il problema (se così possiamo definirlo) sono sempre e comunque io, perso dietro a mille altri impegni nel giornalismo musicale, nella grafica e nell’organizzazione di eventi. Ecco come in un attimo possono passare cinque anni.
 
Introduci i lettori di Comicus a questo tuo nuovo romanzo grafico, e spiegaci in che modo si ricollega al suo predecessore?
Il collegamento con R66 è davvero minimo, forse solo concettuale. L’unico punto in comune che ha con il suo predecessore è la figura del protagonista - Kuore - che è proprio LO STESSO PERSONAGGIO, cioè il writer bianco che se ne andava a spasso per gli States con la posse nera degli Uzi 4 U. Nient’altro. Volevo riutilizzare Kuore perché mi piace graficamente e perché rappresenta “il lato buono” (e anche un po’ ingenuo) della cultura hip hop e dei suoi valori originali. In R66 divideva la scena con altri quattro personaggi, mentre in KNN - pur trattandosi di un racconto piuttosto corale - è davvero il protagonista, sin dal titolo. Ma questo nuovo libro si svolge interamente a Roma e non ha NULLA di surreale come poteva essere il viaggio nel tempo del precedente. E, soprattutto, i due libri hanno due finalità molto diverse: R66 voleva “spiegare” cosa sia la cultura hip hop e quali siano le sue radici (diventando a tratti didascalico, mio malgrado) mentre KNN parla delle possibili forme di “resistenza umana” all’interno di una metropoli. Attraverso l’arte, la musica, la controcultura, la partecipazione e le proprie passioni. Anche attraverso l’amore.
 
Guardando ai tuoi esordi con Il Massacratore, agli inizi degli anni '90, e spostandoci, poi, al tuo ultimo lavoro, spiegaci come si è evoluto il tuo approccio alla scrittura, se hai apportato delle modifiche o se utilizzi sempre lo stesso metodo.
Il mio “metodo” è grezzo, come io stesso ammetto nella corposa sezione del libro dedicata a sketch, layout, aneddoti e outtakes. Lavorando quasi esclusivamente su mie storie, non sono un autore che si mette lì a scrivere realmente sceneggiatura e testi per se stesso. La differenza, forse, è solo nell’età. Nel senso che quando ero più giovane riuscivo sempre a ricordare TUTTO! Avevo sempre le storie ben delineate nella mente: le cose che dovevano succedere in quel TOT numero di pagine, i layout indicativi, i dialoghi da inserire e via dicendo. Era tutto “stampato” chiaramente nella mie mente. Ora no, ora rischierei di dimenticare tantissime idee e tantissimi particolari. Quindi il cambiamento maggiore sono gli appunti: interi block notes con schizzi, bozze dei layout, frasi che mi piacerebbe utilizzare, riferimenti che vorrei segnalare e curiosità. Mi segno tutto. Alla fine, questi fogli quadrettati assomigliano quasi ad una sceneggiatura. Anche se non lo è.
 
Lungo le pagine di Kuore nella notte appare forte ed evidente il rapporto che ti lega alla tua città, Roma, omaggiata con un "tour a fumetti" molto suggestivo. Sempre più frequenti sono gli autori che legano la propria arte al contesto nel quale sono cresciuti. Che rapporto hai con Roma e in che maniera ha influenzato il tuo lavoro?
Io credo ci sia una componente quasi PARANOICA in chi è nato e vissuto a Roma. Qualcosa - ma non so esattamente cosa! - che fa scattare in autori e artisti una necessità viscerale di raccontarla. Succede nel cinema, nella musica e anche nei fumetti. Come Zerocalcare quando parla di Rebibbia o Giacomo Bevilacqua che la tratteggia assai bene nel suo Metamorphosis. E’ una città talmente grande e talmente indefinita, che può essere raccontata in mille modi diversi, spesso antitetici tra loro. Dal neorealismo della Roma città aperta di Rossellini alla Cinecittà di Fellini, fino agli spietati ritratti contemporanei de La grande bellezza o di Sacro GRA. Dal Folkstudio di Francesco De Gregori e Antonello Venditti alla cosiddetta “nuova scuola romana” di Fabi, Silvestri, Gazzè, Tiromancino, Sinigallia e compagnia bella. Dagli stornelli di Gabriella Ferri alle romanze d’amore e di coltelli de Il Muro del Canto. Insomma: comunque la si racconti, Roma la amiamo incondizionatamente e irrazionalmente. Poi la odiamo per la sua oggettiva invivibilità. Eppure - anche se troviamo il coraggio di allontanarcene - alla fine torniamo sempre da lei («È la Roma di chi se ne va ma che tanto poi ritorna» dice il Colle der Fomento); forse anche idealizzandola, volendone trovare a tutti i costi il buono che non ha. Giustificandola sempre e comunque, anche se è davvero «una cagna in mezzo ai maiali»! Ma è proprio l’idea del cuore pulsante dei suoi quartieri, dei suoi rioni, delle sue borgate, della nostra presenza territoriale, del senso di PARTECIPAZIONE con cui possiamo scegliere di viverla ogni giorno che mi fa credere in questo suo straordinario potenziale positivo. Che - per rispondere alla domanda - mi ISPIRA a raccontarla: una città trafficata e “trafficona”, maleducata e COATTA all’inverosimile, eppure al contempo ancora capace di generare creatività, solidarietà, cultura e bene comune.
 
Alla fine di ogni capitolo della storia c'è un QR Code che permette di accedere ad una canzone che da il titolo al capitolo stesso. Queste canzoni suonano come la colonna sonora di Kuore nella notte. Cosa rappresentano per te questi brani?
Sono i pezzi con cui sono cresciuto e con i quali io stesso mi sono formato. Tieni conto che ho seguito tutta ‘sta storia sin dall’inizio, qui in Italia. Da quando i Power Mc’s e i Radical Stuff rappavano in inglese. Poi, soltanto dopo (e soprattutto grazie alle posse, anche se un certo revisionismo retroattivo oggi tende a negarlo) è arrivato il rap in italiano, con l’Isola Posse All Star, la LHP, l’Onda Rossa Posse e via dicendo, da cui in seguito sono “derivati” i Sangue Misto, gli Assalti Frontali e tutto il resto della faccenda. Gli anni ’90 - in Italia - sono stati straordinari in questo senso, per la forza, la purezza e la creatività che hanno espresso. Quando scrivo e disegno le mie storie, mi piace pensare a quel momento, TESTIMONIANDO ciò che è avvenuto. Credo che KNN, pur svolgendosi nel presente, non avrebbe l’impatto testuale (e ipertestuale) che ha, se avessi utilizzato le rime del rap di oggi. Allora credo sia importante trasmettere quel tipo di coordinate anche ai “giovani” di oggi, testimoniando appunto quanto siano stati fondamentali certi mc’s e certi testi nello sviluppo della cultura hip hop italiana. Mc’s e testi che tuttora restano nel tempo, insuperati. Pezzi come Cani sciolti o Cinque minuti di paura, mc’s come Kaos, Deda e Neffa, dj’s/producer come Ice One e Gruff. Ma anche l’impegno politico e sociale, la coerenza di collettivi come gli Assalti e 99 Posse.
 
 
Roma, l'hip hop, le crew, i magazine, i fumetti. Troviamo dentro questa storia tutti gli aspetti che caratterizzano la tua vita e la tua attività. Vuole essere quest'opera un omaggio alle tue influenze, le tue origini, il tuo passato o, idealmente, vuoi chiudere un ciclo, una fase, per poi proiettarti in qualcosa di nuovo?
Perfetto: hai CENTRATO esattamente le mie intenzioni! Con KNN chiudo un cerchio. Al di là della sua trama orizzontale (e dell’amore che esprime) è il mio ultimo contributo a questa cultura. L’ultima storia a fumetti che farò su questo argomento, con questa cornice così specifica. Forse, inconsciamente, è anche una metafora della mia vita. I miei prossimi tre libri parleranno di tutt’altro, sia in termini di contenuto che di forma. Ma ci arriviamo tra poco.
 
Analizziamo l'aspetto grafico di questo nuovo volume. Quanto sei cresciuto come disegnatore e in cosa credi essere migliorato. Hai utilizzato tecniche nuove?
«All’avanguadia con le tecniche» diceva lu’ Dj Gruff. Io invece ho fatto esattamente il contrario: sono tornato INDIETRO! Mi spiego meglio: dopo tanti anni passati su Photoshop e Illustrator (sia per altri lavori che sulla più recente serie del Massacratore) mi ero reso conto di aver ESAGERATO con gli effetti che - sin troppo comodamente - queste applicazioni ti permettono in termini di sfumature, sfocature, ombre e quant’altro. La scelta, dunque, è stata quella di tornare al concetto di “tavola originale” disegnata in bianco e nero assoluto in una sua composizione già definitiva, pronta per la scansione, senza ricorrere ad un suo “montaggio” successivo. Tornare al disegno VERO: un back to the basics, insomma.
 
Uno degli aspetti più interessanti della tua figura è l'essere, in prima persona, immerso nelle atmosfere delle storie che racconti. Da ragazzo ormai navigato, come e quanto è cambiata la scena hip hop italiana?
È cambiata talmente tanto da esserne rimasto tagliato fuori, sia in termini di frequentazione che di effettivo gap generazionale. Fino a qualche anno fa ero ancora un nottambulo incallito, di quelli che tornavano a casa con il sole già sorto. Poi la mia vita è cambiata soprattutto per la nascita di Giulia. Quindi frequento sempre più raramente le jam, seleziono accuratamente i concerti che mi interessano davvero, non vado più per club e locali. Finisce che anche quando scelgo una determinata serata, è in qualche modo legata al mio passato. Magari un concerto al Forte Prenestino dei Good Old Boys (Colle der Fomento + Kaos), ancora capaci di tirar su cinquemila persone! Ma finisce anche che è il rap di oggi a sfuggirmi. I suoi artisti. La sua scena. Non riesco a seguirli e ad appassionarmene. Certa roba che sento oggi non mi appartiene né a livello di retaggio, né di stile, né tantomeno di contenuti. Sto anche sforzandomi di non giudicarla, se è realmente lo specchio dei nostri tempi. Quindi semplicemente me ne allontano e - piuttosto - preferisco spaccarmi di rap e/o soul americano, la radice originale.
 
Attualmente, come dividi la tua giornata? In qualche altre attività è impegnato il fumettaro part-time?
La divido equamente nei diversi impegni. A differenza di qualche anno fa, mi alzo molto presto perché devo portare mia figlia a scuola. Ma di mattina non riesco proprio a disegnare, quindi solitamente preferisco dedicarla ai contatti degli eventi su cui sto lavorando: le mail, le telefonate, gli eventuali appuntamenti con chi devo vedere. Oppure scrivo, che sia una nuova recensione da consegnare o la stesura di un nuovo progetto. Pomeriggio e/o sera carburo meglio, sia se lo passo davanti al Macintosh che sul tavolo da disegno. Ma “interrompendomi” continuamente, ahimè, per via della bimba che bisogna andare a prendere a scuola, che bisogna portare a nuoto, che ha un festicciola di compleanno e via dicendo. In effetti, non lavorando a studio, così è abbastanza complicato concentrarsi. Ma anche questa - vorrei fosse chiaro - è una scelta ben precisa. Cioè quella di metter al mondo un figlio e NON FARLO CRESCERE DAI NONNI. Un concetto che potrebbe sembrare banale, ma che - se mi guardo intorno - non lo è affatto. Anzi.
 
Tornando in ambito fumettistico, stai lavorando su qualche progetto? Hai già pronto altro materiale nuovo?
Si, certo: prima di tutto un libro per bambini che ho già terminato. È La storia dell’Orso Bruno, un pezzo degli Assalti Frontali che proprio insieme a Luca “Militant A” Mascini abbiamo trasformato e adattato in un classico libro illustrato. Stiamo trattando la sua pubblicazione con un paio di editori per l’infanzia. Poi c’è un nuovo progetto a cui sto dedicando anima e copro, anche perché è la mia prima incursione nel cosiddetto graphic journalims, cioè un libro a fumetti su Vittorio “Vik” Arrigoni che dovrebbe uscire entro la fine del 2015 per Round Robin. Infine quello che sarà realmente il mio prossimo graphic novel (insolitamente tutto a colori) che ha per protagonista una sirena “mitologicamente immortale” tanto bella quanto ambiziosa, una spietata miscela che le porterà soltanto guai!
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