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Intervista a Stefano Casini

L'intervista che segue è stata parzialmente pubblicata sul primo numero di ComicUS Poster, il nostro esauritissimo speciale cartaceo uscito in quel di Napoli Comicon.

Visto che molti non avranno la possibilità di leggere questa bella chiacchierata, abbiamo deciso di pubblicarla anche sul sito e in versione integrale, in occasione anche della presenza nelle edicole italiane del numero 155 di Nathan Never disegnato appunto da da Stefano Casini.

Per maggiori informazioni sull'autore consultate il suo sito personale o quello della Scuola Nemo.

CUS: Ciao Stefano e benvenuto su ComicUs.
Come al solito ti invito a rompere il ghiaccio con i nostri lettori parlandoci un po’ di te e dei tuoi vizi, virtù, passioni e quanto altro tu voglia aggiungere; insomma chi è Stefano Casini secondo sé medesimo?


STEFANO CASINI: Stefano Casini secondo la considerazione che ha di se stesso non è altro che una persona che ha cercato d fare le cose che lo incuriosivano e che, per fortuna e forse per un po’ di merito ma sicuramente con determinazione, è riuscito a fare, salvo poi tornare al vecchio amore, mai lasciato e mai abbandonato del tutto, il Fumetto.
Per la cronaca sono nato a Livorno il 3 Giugno del ’58 e mi sono diplomato all’I.S.I.A. di Firenze, (scuola Superiore di Industrial Design), ma prima di diventare disegnatore e autore di fumetti ho lavorato nella moda come designer per un paio di stilisti, in pubblicità come junior-account e ho fatto i design-coordinator per una grande industria americana lavorando su prodotti per l’automobile, nonostante queste innumerevoli attività ho sempre mantenuto vivo l’interesse e la passione per il fumetto fino a farlo diventare la mia professione. In realtà per un certo periodo della mia vita il disegnatore proprio non volevo farlo, avevo bisogno di dimostrare a me stesso che ero capace di fare altro oltre a quello che, per caratteristiche personali, sembrava fosse il mio destino.

CUS: Prima di approdare professionalmente al modo delle nuvole parlanti hai lavorato, con ottimi risultati, a quanto pare, nel campo della grafica pubblicitaria. Cosa ti ha spinto a lasciare una carriera ben avviata e magari invidiata da molti a favore dell’attività di disegnatore?

SC: Invidiata non so, gratificante sicuramente. Che cosa mi abbia spinto non saprei dirlo con precisione, credo le circostanze in primis e sicuramente la necessità di “raccontare” delle storie, il bisogno di esternare la mia visione del mondo e delle cose, credo più o meno le stesse pulsioni che inducono un pittore a dipingere o uno scrittore a scrivere, il tutto con le relative proporzioni.

CUS: Il primo tuo lavoro che mi è capitato tra le mani è stata una breve storia pubblicata sulle pagine di Fumo di China (anch’essa al suo esordio in quella che è la sua attuale incarnazione editoriale). Quale è stato l’iter che ti ha portato a pubblicare questa tua prima storia e quanto è stata importante la sua pubblicazione per la tua successiva carriera?

SC: In realtà era iniziato quando ancora studente collaborai con Adamo dell’Editoriale Corno (settimanale a fumetti) per il quale realizzai le matite di due storie de “I ragazzi di Stoner” inchiostrate poi da Toninelli, con il quale successivamente fondammo la rivista P.d’A. che si trasformò in Foxtrot! e sulla quale disegnai due serie e diversi racconti liberi. In quel periodo (si parla della metà degli anni ’80) si consolidò il sodalizio con l’amico Toninelli che divenne poi il direttore di Fumo di China, da cui la pubblicazione che tu menzioni.
I disegni furono sì apprezzati anche in Bonelli, ma la cosa finì lì, fu in seguito su Foxtrot! che i tre sardi (Medda, Serra e Vigna) allora sconosciuti aspiranti sceneggiatori mi conobbero e alla prima loro venuta a Milano avemmo anche l’occasione di incontrarci. Anni dopo diventarono sceneggiatori per la Bonelli e da lì in poi le cose presero lo sviluppo che sappiamo.

CUS: Sviluppo che in realtà possiamo solo immaginare, credo comunque che il passaggio dalle pagine di Foxtrot a quelle di Nathan Never sia stato breve. Insomma come è avvenuto il tuo definitivo passaggio al professionismo?

SC: Be’, in parte te l’ho spiegato, però diciamo che è stato tutto abbastanza repentino, quando venni a sapere della possibilità che si realizzasse un personaggio di fantascienza per la Bonelli, contattai Antonio Serra che ne era uno dei tre artefici e anche l’unico fisicamente in redazione, in quel periodo abitavo a Milano e non fu difficile incontrarci per parlarne in senso compiuto del personaggio e per averne ulteriori informazioni, allora lavoravo come design-coordinator per la 3M Italia e sinceramente stavo bene dove stavo, però il fumetto me lo sentivo ribollire nel sangue e chiesi di poter realizzare le tavole di test che vennero consegnate a tutti quelli che sarebbero dovuti diventare i disegnatori della serie. Andò tutto bene e decisi di lasciare il lavoro di designer per fare quello del fumettista, all’epoca non fu una scelta facile ma sono contento di averla fatta.

CUS: Hai avuto difficoltà ad adattare il tuo tratto graffiato e leggermente caricaturale alla fantascienza di Nathan Never?

SC: Difficoltà no, ma attenzione sì, infatti è un esercizio costante al quale mi sottopongo tutt’oggi, ogni tanto mi arriva qualche tiratina d’orecchi perché le tentazioni caricaturali e grottesche talvolta tendono ad emergere, non posso farci niente, è una mia caratteristica che in fin dei conti non mi dispiace avere ma che tengo sotto controllo.

CUS: In circa 12 anni di vita editoriale dell’agente speciale Alfa hai realizzato ben 22 storie (che a voler essere proprio precisini rappresentano un massiccio 14% della serie regolare). Come è cambiato il tuo approccio al personaggio nel corso dei queste 22 storie?

SC: Di Nathan mi sento un po’ un vecchio zio ( i genitori sono altri) di quelli brontoloni, esigenti e sempre insoddisfatti, per il resto è cambiato il segno, lo spirito e un po’ d’entusiasmo, molte cose in effetti. Una volta c’era molta più tensione emotiva, l’attesa dell’uscita dell’albo, la soddisfazione di vedere l’albo in edicola, oggi tutto è rientrato nella normalità, certi valori si sono stabilizzati e molte cose ridimensionate, ma è giusto che sia così.

CUS: Premesso che mi piacerebbe vederti all’opera sulle pagine di Nathan Never per almeno altri cento anni, ho una curiosità che sfarfalla nella mia mente. Il lavoro del disegnatore è ovviamente un lavoro molto creativo, o almeno io lo percepisco così, lavorare sempre sullo stesso personaggio per così tanto tempo, non tende a trasformare la creatività in una sorta di routine? Dopo tanto tempo continui a trovare stimolante lavorare per la serie dell’agente speciale?

SC: Tutti i lavori si trasformano inevitabilmente in routine, specialmente quelli seriali che hanno una continuità di un certo tipo, sta a noi trovare gli stimoli giusti perché l’abitudine non uccida la creatività. Io sono sempre alla costante ricerca di quelle piccole novità nella realizzazione delle tavole che mi permettano di “divertirmi” cambiando dai soliti parametri, non so quanto questi cambiamenti possano essere visibili all’esterno ma ci sono. Infatti definirei il mio segno costantemente in evoluzione proprio per questo motivo, perché devo continuamente mutare qualcosa anche se, devo ammetterlo, è una fatica non indifferente.

CUS: Nel futuro immediato NN sarà oggetto di grandi stravolgimenti narrativi. Che ruolo avrai nella realizzazione delle storie di questo ciclo narrativo? Mi potresti anticipare qualcosa riguardo questi stravolgimenti?

SC: Direi che sono coinvolto in modo marginale. La mia prossima storia sarà il seguito e la fine, credo, del ciclo di Thor 14 e tratterà della figlia di Salomon Wolface (sarà in edicola ad Aprile col titolo “Alice”), è realizzata da tempo e infatti è programmata prima del ciclo al quale fai riferimento. Quella che sto realizzando e quasi ultimando è successiva al suddetto ciclo, è una storia doppia scritta da Michele Medda e dal titolo provvisorio “Il Complotto”, credo sia il seguito naturale degli eventi citati ma sarà programmata dopo gli sconvolgimenti che cambieranno molte cose nel panorama di Nathan.

CUS: Della tua vasta produzione la tua storia che preferisco è il bel Nathan Never Gigante numero 4, una bella, e lunga, storia per certi versi molto politica, per niente banale. Quale è, invece, l’episodio di cui tu sei maggiormente soddisfatto?

SC: Non ne ho uno in particolare, ognuno di loro ha segnato a suo modo dei momenti talmente precisi che hanno in eguale misura un ruolo importante, però ricordo con piacere “Tragica Ossessione” perché all’epoca ne ero molto soddisfatto e nonostante questo mi pare sia rimasto più all’ombra di altri che invece hanno avuto maggiore ribalta, diciamo che mi fa piacere segnalarlo non perché sia il migliore, ma come a riscatto di quella parziale delusione.

CUS: La tua avventura editoriale alla Bonelli sembra aver consolidato anche un forte rapporto con Michele Medda, in compagnia del quale hai realizzato anche la bella Graphic Novel “Digitus Dei”. Cosa vi rende tanto affini?

SC: Una simbiosi naturale, direi. Credo che tra di noi ci sia una spontanea capacità d’intesa. Lui scrive ed io disegno quello che lui pensa o almeno al modo più vicino con il quale lui si immagina le situazioni. Noi due siamo invece molti diversi: come carattere, come gusti o come cultura, ma condividiamo molte altre convinzioni comuni, in realtà credo che ci sia anche qualcosa di molto empatico tra di noi, qualcosa di indefinibile che ci lega, un po’ come a volte succede in certe feste dove tra decine di invitati non si capisce come mai si finisce per familiarizzare con una determinata persona.

CUS: Nel corso degli anni ti sei concesso qualche piccola scappatella realizzando un numero di Dampyr ed una paio di romanzi grafici per il mercato francese. Su quest’ultima esperienza mi piacerebbe soffermarmi. Innanzitutto cosa ti ha spinto ad intraprendere l’avventura del mercato d’oltralpe?

SC: La parola “scappatella” induce a pensare quasi ad una sorta di tradimento, ed invece non è così, non ho tradito proprio nessuno. In realtà mi sono messo a pensare ad una storia che avesse un certo tipo di sviluppo, che fosse realizzata a colori e che avesse un formato più ampio per dargli un respiro diverso, con questi presupposti si finisce inevitabilmente su altri mercati, oltre tutto è stata venduta prima ad Heavy Metal e solo successivamente stampata in Francia.

CUS: Che differenza di approccio c’è tra la realizzazione di un mensile Bonelli ed un cartonato Francese?

SC: Intanto per Bonelli lavoro come disegnatore, mentre in questi casi sono autore completo scrivendomi i testi da solo, e già questa è una differenza d’approccio sostanziale. Poi c’è la diversità della visione dal B/N al colore cosa anch’essa non da poco, inoltre pensare un albo come autore, per uno che ne è anche il disegnatore, almeno per me vuol dire compiere il percorso per ben due volte e, per certi versi, è forse più coinvolgente il primo (i testi) piuttosto del secondo (i disegni). Quando infatti scrivo una storia è come se me la vedessi già così come verrà disegnata, per cui è un po’ come se andasse perduto un po’ di quella intensità creativa presente nella fase dell’illustrazione proprio perché il percorso viene fatto due volte. Non so se mi sono spiegato.

CUS: A partire dalla fine del 2000 hai dato vita alla Scuola Nemo NT, una scuola di fumetto orientata, prevalentemente, sulle nuove tecnologie. Come prevedi che queste fantomatiche nuove tecnologie influenzeranno il futuro della letteratura disegnata?

SC: In realtà l’hanno già influenzata, la colorazione degli albi, così come il lettering o l’uso dei retini per le mezze tinte si stanno orientando completamente sul digitale e sono quasi una prerogativa esclusiva delle tecniche informatiche, l’unico che ancora resiste è il disegno, la praticità della matita e del classico foglio ancora riesce a resistere alle nuove tecnologie, ma ho visto che sono già pronti tavolette e penne ottiche che potranno in futuro sostituire i mezzi tradizionali. Con tutto ciò non si deve perdere di vista l’aspetto tattile e corporeo della realizzazione classica e non è cosa da sottovalutare oltre che difficilmente rimpiazzabile, ma il prediligere uno strumento piuttosto dell’altro è solo da considerarsi come una scelta in più.

CUS: E, rimanendo in tema di nuove tecnologie, quali strumenti hai utilizzato per le tue escursioni sul mercato francese ed internazionale?

SC: Oramai le mie due produzioni per il mercato estero sono di qualche anno fa, e in quel periodo usavo ancora le tecniche tradizionali, mischiate tra loro ma sempre in modo classico, adoperavo tempere e pennarelli, areografo e pastelli su carta ruvida. Solo ne “Il Buio alle Spalle” sono presenti delle vignette modificate digitalmente, un uso massiccio invece ne è stato fatto per la colorazione dei due episodi di Digitus Dei dal titolo “I Demoni hanno Fame”, in quel caso sono state realizzato delle textures specifiche e poi il tutto è stato modificato e colorato con Photoshop.

CUS: Quanto tempi impieghi per la realizzazione di una tavola completa?

SC: Di Nathan Never tranquillamente una al giorno, per quanto ne realizzi sempre a tranches di venti alla volta. Per quelle a colori dipende dalla loro complessità e dagli strumenti usati, ma è difficile stabilire una media, certo è che il digitale in questo caso aiuta di molto la realizzazione.

CUS: Anni fa fosti definito il “Sienkiewikz” Italiano. Come giudichi questo accostamento? Ti ci riconosci?

SC: Oggi non più. All’epoca forse anch’io contribuii a questo accostamento, ma non gli sono mai stato così vicino da somigliargli troppo, il tratto del disegnatore americano era troppo particolare per essere utilizzato su una testata come Nathan e ne presi le distanze quasi subito, per quanto sia ancora uno dei disegnatori che trovo, nonostante tutto, più stimolanti.

CUS: quali progetti ci sono nel tuo immediato futuro?

SC: Sto terminando una storia mia dal titolo “Moonlight Blues”, realizzata in BN e un colore (grigio), prevista come una cartonato e dalla lunghezza di 46 pagine, realizzata in uno stile più grottesco e nervoso insomma, un ulteriore cambiamento. Tratta di una storia ambientata alla fine degli anni ’40 e che parla di un suonatore di sax e di varia altra umanità: un boxeur immigrato, una prostituta nera, un boss con la sua pupa, tutti gli ingredienti cari al cinema “noir” di quel periodo, un mio tributo personale al jazz di quegli anni, quello di Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Art Tatum, quello che piace a me, insomma.
E poi oltre a Nathan che non mi abbandona mai, ho qualche ideuzza per una storia a colori, è ancora lì in fase embrionale e la tengo al calduccio in modo che non prenda il sopravvento sugli impegni attuali, sarebbe pericoloso e inopportuno, ma al momento giusto vedrò di tirarla fuori anzi, verrà fuori da sola, c’è da giurarci.

Stefano Perullo
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