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Focus On: Lo Squadrone Supremo di Mark Gruenwald

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Non è un segreto che, gran parte di coloro che scrivono o disegnano fumetti, non desiderano altro che approdare, prima o poi, sulla testata del proprio eroe preferito. Mark Gruenwald era uno di questi. Pur avendo trascorso tutta la sua carriera presso la Marvel (una carriera, purtroppo, bruscamente interrottasi nel 1996, quando l’autore, appena quarantatreenne, morì improvvisamente a causa di un attacco cardiaco), lo scrittore del Wisconsin era un grandissimo appassionato del mondo dei comics in generale, tanto da essere famoso per conoscere dettagli riguardanti alcuni personaggi, quasi del tutto ignoti anche ai più affermati esperti del settore (non è un caso che uno dei suoi lavori più celebri fu l’enciclopedico Official Handbook of the Marvel Universe). Tra i suoi amori dichiarati c’era la Justice League of America, il noto supergruppo che riunisce i più importanti eroi di casa DC, con il quale però non ebbe mai l’opportunità di lavorare. Tuttavia, diversi anni prima che Gruenwald venisse assunto dalla Casa delle Idee, sulle pagine degli Avengers (per l’esattezza, nel numero 69 dell’ottobre del 1969), Roy Thomas aveva fatto esordire, come avversari degli Eroi più potenti della Terra, un gruppo di supercriminali noto come lo Squadrone Sinistro, che presto si rivelò una sorta di versione distorta della Justice League. Il team, infatti, era composto da Hyperion, Nottolone, Dottor Spectrum e Trottola, che erano rispettivamente le controparti malvagie di Superman, Batman, Lanterna Verde e Flash. Con quella brillante trovata, lo scrittore del Missouri non aveva solo voluto omaggiare quei noti personaggi della concorrenza, ma, probabilmente, realizzare anche quello che all’epoca era il sogno proibito di ogni autore americano di fumetti e cioè scrivere una storia in cui a scontrarsi fossero alcuni dei personaggi più popolari delle due case editrici.

Un paio d’anni più tardi, Thomas (anche lui grande fan della Justice League) decise di andare oltre e catapultò gli Avengers in una realtà alternativa (inizialmente nota come Terra-S e poi rinominata Terra-712, per distinguerla dalla “nostra” Terra-616), dove essi incontrarono un altro gruppo di superesseri, che replicavano per nomi e aspetto i membri dello Squadrone Sinistro. Lo scontro fu inevitabile, ma presto i due team si resero conto del malinteso, perché, in quell’universo parallelo, Hyperion e soci non erano dei criminali, ma un gruppo di supereroi noto come Squadrone Supremo. Continuare a parlare della singolare storia editoriale di questi personaggi sarebbe troppo lungo, basti sapere che Gruenwald, non potendo disporre della Justice League originale, decise di seguire le orme di Thomas e, appena ne ebbe l’occasione, convinse i vertici della Marvel a dedicare una maxiserie di dodici numeri proprio agli eroi di Terra-712. L’intera saga (che comprende anche un numero di Capitan America, all’epoca sempre scritto da Gruenwald) era già stata ristampata dalla Panini qualche anno fa, in un volume della collana Marvel History (dopo la prima pubblicazione italiana, in appendice al mensile di Iron Man della Play Press, all’inizio degli anni Novanta) ed è tornato nelle librerie circa un anno fa, sempre sotto le insegne dell’editore modenese, nel prestigioso formato omnibus, con l’aggiunta del vero capitolo finale della storia, il graphic novel Morte di un Universo (apparso in Italia per la prima volta sul numero 12 della collana Play Special della Play Press, del gennaio 1992, e mai più ristampato da allora), assente nella precedente edizione della Panini.

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La vicenda raccontata nel volume, si ricollega direttamente a una mini-saga scritta da J.M. DeMatteis per i Difensori (e reperibile in Italia solo su alcuni numeri della rivista All American Comics della Comic Art, pubblicati quasi trent’anni fa), dove si vede l’alieno Iniziato, posseduto dall’entità mistica Null, impadronirsi delle menti di quasi tutti i membri dello Squadrone, per instaurare una dittatura degli USA sul mondo intero. Grazie all’aiuto del Dottor Strange e del resto dei Difensori, Hyperion e i suoi compagni riescono a sconfiggere i due avversari, lasciando, però, Terra-712 nel caos più assoluto. Da qui in poi, inizia la storia concepita da Gruenwald, che vede Hyperion riunire tutti i membri del supergruppo per cercare di trovare una soluzione alla disastrosa situazione mondiale. Alla fine, con le sole eccezioni di Nottolone e Amphibian (un personaggio chiaramente ispirato ad Aquaman), lo Squadrone Supremo deciderà di prendere il controllo totale della Terra, una sorta di dittatura illuminata della durata di un anno, in cui il gruppo si sarebbe impegnato a risolvere non solo i problemi politici ed economici più urgenti, ma anche a debellare definitivamente in tutto il mondo fame, povertà, malattie, guerre e criminalità. Un progetto ambizioso a cui aderirà anche il riluttante Amphibian e da cui, invece, prenderà le distanze Nottolone, convinto che imporre la volontà di pochi a tutti gli abitanti della Terra, nonostante le buone intenzioni, sia sempre sbagliato.

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Già da queste poche righe, è chiaro che Gruenwald non si limitò a una semplice celebrazione in salsa marvelliana dei suoi beniamini della DC: consapevole che il fumetto americano stava gradualmente perdendo quell’ingenuità che aveva caratterizzato il medium nei decenni precedenti, pensò di introdurre tematiche che, fino a quel momento, avevano sfiorato i comics solo in superficie. Già negli anni Settanta, negli USA, c’erano stati alcuni pioneristici tentativi di affrontare argomenti destinati a un pubblico più adulto (famoso, solo per citare un esempio, il ciclo di Dennis O’Neil e Neal Adams con la coppia Lanterna Verde e Freccia Verde), e in casa Marvel, nei primi anni Ottanta, Frank Miller aveva gradualmente trasformato Daredevil in un eroe più cupo, rendendo le sue storie sempre più disperanti. Tuttavia, tolto Lanterna Verde, sia l’Uomo senza Paura che l’alter ego di Oliver Queen erano eroi metropolitani, quindi abituati a muoversi nei bassifondi delle città. Non si poteva dire lo stesso per lo Squadrone Supremo, i cui membri, da perfetta emanazione di quelli della Justice League, continuavano a essere protagonisti di storie più tradizionali, con mirabolanti avventure in qualche remoto angolo della galassia o contro il mad doctor di turno. Solo Alan Moore, in Gran Bretagna, con la sua rivisitazione di Marvelman (o Miracleman che dir si voglia) aveva iniziato quel processo di decostruzione della figura del supereroe classico, che lo avrebbe portato, di lì a poco a concepire un capolavoro come Watchmen. Ma negli USA del 1985, quando uscì la serie dello Squadrone Supremo, il bardo di Nothampton era ancora un autore di nicchia, adorato dalla critica, ma poco noto al grande pubblico.

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L’intuizione di Gruenwald, quindi, per l’epoca fu qualcosa di rivoluzionario. In soli dodici numeri, lo scrittore americano mise in scena eroi dubbiosi, fragili, a volte anche meschini. Personaggi che, fino a quel momento, si erano dimostrati integerrimi e che invece si scoprivano, improvvisamente, afflitti da gelosia, rabbia, frustrazione e tutta un’altra serie di sentimenti molto lontani dallo stereotipo del supereroe, a cui il lettore era stato abituato fino a quel momento. Inoltre, potendo contare su una libertà creativa difficilmente ottenibile su altre collane della Casa delle Idee (essendo la serie ambientata in un universo parallelo, la sua influenza sulla continuity marvelliana sarebbe stata praticamente nulla) Gruenwald ne approfittò per violare altri due tabù, innanzitutto, dopo poche pagine, tutti i membri del gruppo, per ottenere la fiducia degli abitanti del pianeta, rinunciano alle loro identità segrete, e, poi, in un crescendo drammatico, parecchi protagonisti perdono la vita (in alcuni casi neppure a causa delle azioni di qualche villain). È proprio grazie a tutto ciò se, negli anni, la serie dello Squadrone Supremo è diventata un fumetto di culto.

Tuttavia - è bene sottolinearlo - a rileggerli oggi, i testi dell’autore americano appaiono un po’ datati, soprattutto perché egli cercò di far coesistere quelle autentiche novità narrative con la leggerezza dei comics degli anni Sessanta. Emblematici, in proposito, il continuo ricorrere dei vari personaggi a diminutivi dei propri nomi di battaglia, la presenza di numerosi criminali pittoreschi e il fatto che alcuni membri del team non smettono mai di indossare il loro costume (neppure per lavorare o per andare a letto!). D’altra parte, come detto, il nostro Mark adorava la Silver Age, per cui, forse temendo di snaturare quei personaggi, a cui era particolarmente legato, non osò spingersi oltre. Ne è una prova il fatto che, il graphic novel successivo alla serie, è caratterizzato da un impianto decisamente più classico e vede lo Squadrone Supremo impegnato in una corsa contro il tempo, per salvare il proprio universo da un’entità cosmica dal potere immenso. Il lavoro di Gruenwald, comunque, non fu dimenticato, tanto che la serie dello Squadrone Supremo è stata, verosimilmente, una delle opere di riferimento di Mark Waid per Kingdom Come, o, più di recente, di Mark Millar per Jupiter’s Legacy. Chi, invece, non hai mai fatto mistero della sua fonte di ispirazione, è J. Michael Straczynski, che ha ripreso le tematiche del suo collega scomparso prima in Rising Stars e, successivamente, in Supreme Power, quasi un remake moderno della saga di Gruenwald.

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Abbiamo volutamente lasciato in secondo piano la parte grafica, in quanto, a parte un episodio realizzato dal grande John Buscema, il resto della maxiserie vide all’opera prima Bob Hall e poi Paul Ryan (autore anche dei disegni del graphic novel), due onesti artigiani, di cui non si ricordano lavori particolarmente meritevoli di essere menzionati e che, detto sinceramente, neanche in questa maxiserie offrirono una prova che rimarrà ai posteri. Dei due, Hall, ormai ritiratosi da diversi anni per dedicarsi al teatro, sua grande passione, era quello dalle maggiori capacità. Infatti, il suo stile, pur se perfettamente in linea con le mode artistiche del periodo, non mancava di qualche sprazzo di originalità: i vari personaggi, tratteggiati spesso in maniera spigolosa o con dettagli del volto volutamente lasciati in secondo piano, riuscivano a comunicare ai lettori un’ampia gamma emozionale. Inoltre, i passaggi più drammatici della narrazione erano spesso esaltati da un abile uso delle ombre e da una costruzione delle vignette estremamente variabile. Ryan, invece, che ha collaborato più volte con Gruenwald (D.P.7, Quasar), aveva un tratto più classico (tanto che, prima della sua prematura scomparsa, avvenuta qualche anno fa, si dedicò a lungo alle strisce di Phantom), con un buon rispetto delle anatomie e un discreto livello di dinamicità delle tavole. Dove mostrava maggiormente i suoi limiti, invece, era nella mancanza di espressività dei volti, sempre troppo rigidi e poco comunicativi. È anche vero, però, che nel fumetto americano degli anni Ottanta, le superstar del disegno si contavano sulle dita di una mano, e molti tra i più bravi avevano già preferito lasciare le big two per tentare la fortuna nel sempre più fiorente, e potenzialmente più redditizio, mercato indipendente. Sarebbe passato molto tempo, prima di vedere grandi artisti, provenienti da tutto il mondo, all’opera sugli albi dedicati ai supereroi. All’epoca, nella maggior parte dei casi, Marvel e DC si affidavano ad autori locali, o, tuttalpiù britannici, e Hall e Ryan, in mezzo a tanti disegnatori decisamente mediocri, erano sempre in grado di garantire un lavoro più che dignitoso.

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Qualche commento sulla nuova edizione della Panini, prima di chiudere: se, da un lato, gli omnibus continuano a confermarsi ineccepibili dal punto di vista della confezione, segnaliamo, tuttavia, che in questo volume manca, quasi del tutto, un vero e proprio apparato critico, se non poche scarne righe sulle alette della sovracoperta, maggiormente incentrate però sulla presentazione degli autori dell’opera originale. L’articolo tratto dalla rivista Marvel Age e i nostalgici pezzi posti all’inizio e alla fine del volume, infatti, pur se molto interessanti, non assolvono al compito di inquadrare la saga all’interno della continuity marvelliana o, semplicemente, di presentare lo Squadrone Supremo a un pubblico più giovane. Una scelta un po’ insolita, che rischia di limitare l’accesso a opere di questo tipo solo alla ristretta cerchia dei fan di lunga data. Un’affermazione, oltretutto, mai così vera come in questo momento, visto che Hyperion e compagni sono recentemente tornati sotto la luce dei riflettori, grazie all’imminente evento Heroes Reborn, rivisitazione contemporanea dell’omonima saga della seconda metà degli anni Novanta, che aveva visto il breve ritorno alla Casa delle Idee di alcuni transfughi Image.

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Mad Run 4: Attenti a Cap-Wolf! Il Captain America di Mark Gruenwald

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Bentornati su Mad Run, la rubrica che affronta senza peli sulla lingua le storie a fumetti più bizzarre mai concepite! E a proposito di peli, oggi parleremo di uno storyarc decisamente trash, una pagina poco gloriosa nella carriera di una Leggenda Vivente, per quanto inserita in una run di tutto rispetto: racconteremo di quella volta che Mark Gruenwald trasformò Capitan America in un lupo mannaro! Signore e Signori, ecco a voi Cap-Wolf!

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Mark Gruenwald è stato un nume tutelare della Marvel per tutti gli anni ’80 e fino al 1996, anno della sua prematura scomparsa dovuta ad un difetto cardiaco congenito mai diagnosticato prima. Pilastro dello staff redazionale, Gruenwald vantava una conoscenza certosina della continuity Marvel, di cui ricordava con precisione anche i dettagli apparentemente meno significativi. In virtù di questa sua competenza enciclopedica, organizzava ogni anno un contest con il quale permetteva ai lettori di sfidarlo con domande impegnative sull’universo Marvel, alle quali riusciva a rispondere senza problemi. A lui si deve l’idea di catalogare l’immenso parco personaggi dell’editore, intuizione sfociata nel celeberrimo Official Handbook of the Marvel Universe. Come editor, supervisionò testate storiche come Avengers e Thor, ma è a Captain America che Gruenwald legherà indissolubilmente il suo nome. Già supervisore della testata, “Grue” ne diventò lo sceneggiatore nel 1985, quando Jean-Marc DeMatteis lasciò l’incarico dopo un ciclo acclamato. Partendo in sordina, l’autore realizzò una run dalla durata decennale (1985-1995), fornendo una visione del personaggio considerata da molti definitiva. Il Capitan America di Gruenwald è l’incarnazione del Sogno Americano inteso come capacità di affermarsi secondo le proprie possibilità e a dispetto di ogni difficoltà, esprimendo appieno il proprio potenziale. Non è un caso che, per la maggior parte del ciclo, l’identità civile di Steve Rogers venga messa decisamente in secondo piano, a vantaggio della dimensione simbolica ed iconica del Capitano. Durante la sua gestione della serie del Discobolo, Gruenwald introdusse personaggi che sarebbero diventati fondamentali per la continuity della serie e del Marvel Universe in generale come John Walker, che prenderà il posto del Capitano per poi diventare un eroe indipendente col nome di U.S. Agent, lo spietato Crossbones, minacce come la Squadra dei Serpenti, l’antinazionalista Spezza-Bandiera e la milizia di estrema destra dei Cani da Guardia, che non esita a commettere atti di terrorismo per preservare, a dir loro, i valori americani dall’immoralità. Il Cap di “Grue” era un divertentissimo fumetto d’azione, che rifletteva però i timori e le preoccupazioni dello scrittore per la situazione contingente del suo Paese. Saghe come quella del Nuovo Capitan America (Speciale Capitan America 2, Star Comics), Bloodstone Hunt (Speciale Capitan America Estate 1994, Marvel Italia) e Streets of Poison (Marvel Extra 7, Marvel Italia) sono delle piccole gemme, se doveste trovarne delle copie in qualche mercatino dell’usato non ve le fate sfuggire: non ve ne pentirete.

Come dicevamo, la run di Mark Gruenwald sulla testata del Discobolo durò la bellezza di dieci anni, un arco temporale importante e impensabile per l’industria di oggi spesso alle prese con rilanci e reboot che non consentono più l’identificazione di un autore con una serie o un personaggio. Nella parte finale del suo ciclo, però, l’ispirazione dello scrittore cominciò a vacillare e la saga di Cap-Wolf è generalmente considerata uno scivolone nell’economia di un ciclo comunque fondamentale per la Sentinella della Libertà. Lo storyarc venne pubblicato nell’estate del 1992 in sette numeri con cadenza quindicinale.
Tutto comincia in Captain America 402. In una cittadina della contea di New York, Starkesboro (non c’era un altro nome?) si sono consumati alcuni atroci delitti. I cadaveri sembrano essere stati mutilati da una grossa bestia. Nel frattempo, nella base dei Vendicatori, Capitan America comunica alla Vedova Nera che si concederà una licenza dal gruppo per andare a cercare il suo amico e pilota John Jameson, figlio del burbero editore del Daily Bugle, che non dà sue notizie da settimane. Jameson Junior, ex astronauta, era diventato in passato il terribile Uomo Lupo dopo aver rinvenuto, durante una spedizione, un frammento di pietra lunare che lo aveva trasformato in un licantropo. Solo l’intervento dell’Uomo Ragno aveva potuto salvarlo. Cap teme che John possa essersi ritrasformato nel lupo mannaro. Dopo una inutile visita al Bugle, dove non riesce ad avere alcuna informazione dal padre di John, J. Jonah Jameson, Steve decide di chiedere l’aiuto di un mistico. Constatata l’indisponibilità del Dottor Strange, Cap si dirige verso Boston, al cospetto di colui che all’epoca era la seconda autorità dell’Universo Marvel nel campo della magia: Il Dottor Druido, ex membro dei Vendicatori.

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Il mistico acconsente ad accompagnare Cap nella sua investigazione sui luoghi degli omicidi. Poco dopo il loro arrivo, i due vengono attaccati da un aggressivo essere ferino.

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Quando stanno per avere la peggio, arriva un misterioso mercenario, Moonhunter, che rapisce la bestia.

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Il Capitano lo insegue e lo attacca, ma nello scontro ha la peggio. Il mercenario consegna la belva a colei che è responsabile della trasformazione in licantropi degli abitanti di Starkesboro: si tratta della Dottoressa Nightshade, che il Discobolo aveva già affrontato in passato. La donna non lavora però da sola: è al servizio di un misterioso padrone, in possesso della gemma lunare di Jameson, che trama nell’ombra.

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A questo punto arriva un ospite inaspettato: il mutante conosciuto come Wolverine! Anche l’X-Man sta indagando sugli omicidi e le tracce che ha seguito lo hanno condotto fino alla villa che funge da base del malefico duo. Nightshade gli scaglia contro un gruppo di licantropi: esausto, il mutante viene infine abbattuto da Moonhunter.

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La Dottoressa prova a trasformare anche Logan in un licantropo, ma il suo fattore rigenerante non glielo permette; riesce comunque a prendere il controllo della mente dell’X-Man, scagliandolo contro Capitan America, sopraggiunto nel frattempo.

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Il Discobolo ha la peggio e viene catturato. Nightshade a questo punto può usare il suo trattamento contro di lui. La trasformazione è inevitabile: ecco Cap-Wolf!

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Il Cap mannaro fugge, e deve di nuovo affrontare Wolverine, mandato a catturarlo.

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Nel frattempo, Il Dottor Druido ha scoperto l’identità della mente dietro l’intera vicenda: è Dredmund Cromwell, mistico con mire di conquista.

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Intanto, nelle segrete della villa, il prigioniero Cap-Wolf fa proseliti fra i licantropi, persone trasformate contro la propria volontà da Cromwell per formare un esercito ai suoi ordini. Tra i prigionieri c’è anche Wolfsbane, membro ferino di X-Factor, attirata sul posto dalla forza irresistibile della Pietra Lunare. Stessa cosa è successa a Feral, membro di X-Force. La sua sparizione mette in allarme Cable, leader della formazione mutante, che si mette sulle sue tracce.

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A questo punto direte: ma come mai tutti questi ospiti provenienti dalle serie mutanti? La risposta è semplice: siamo nel 1992 e da più di dieci anni la serie degli X-Men e i suoi spin-off sono le più vendute della Marvel, mentre le serie di Cap, Thor, Iron Man e dei Vendicatori languono spesso nei bassifondi delle classifiche. Con qualche comparsata di Wolverine, Cable e soci si spera di vendere qualche copia in più. Sembra incredibile oggi, abituati come siamo alla saga cinematografica degli Avengers, ma in quel momento storico sfruttare il grande successo degli X-Men era la norma.
Tornando alla nostra saga, Cap-Wolf e gli altri licantropi scappano dalla loro cella, ma non fanno in tempo ad impedire a Cromwell, che ha sconfitto il Dottor Druido, di usare la pietra lunare per diventare un potente “Signore dei Lupi”.

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Con l’aiuto del sopraggiunto Cable e di un Wolverine ormai libero dal giogo mentale di Nightshade, Cap-Wolf riesce ad avere la meglio sul suo nemico.

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La Dottoressa Nighshade, rimasta sola, somministra la cura per la licantropia al Capitano e a John Jameson, che era in effetti uno dei licantropi trasformati dalla coppia di villain. La saga si chiude con l’addio di John: il pilota comunica al Capitano che non tornerà con lui alla base dei Vendicatori, dove aveva prestato servizio come pilota, ma che partirà per cercare il suo posto nel mondo.

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Anche se il ciclo di Cap-Wolf non è stato certo il momento più luminoso della pluridecennale carriera della Sentinella della Libertà, voglio spezzare una lancia per il compianto Mark Gruenwald: questa saga dalle premesse già traballanti (e certamente non aiutata dalle matite tutt'altro che memorabili del modesto Rik Levins) non può macchiare la qualità di altri suoi lavori, come il resto della sua notevole run di Captain America. Mi fa piacere ricordare in questa sede anche Quasar, collana dedicata al Vendicatore Cosmico interamente scritta da Grue, graziata ad un certo punto dalle matite di un debuttante Greg Capullo, futuro disegnatore di Spawn e Batman, una delle letture preferite della mia adolescenza. O la miniserie dello Squadrone Supremo, che anticipò alcune tematiche realistiche, tipiche del fumetto revisionista, che poi sarebbero state riprese in opere più blasonate come Watchmen. Gruenwald andava così fiero di questo suo lavoro che chiese espressamente che le sue ceneri fossero raccolte e mescolate all’inchiostro usato per la prima stampa della raccolta in volume dell’opera. Grazie Mark, per l’amore e la passione che hai messo sempre nel tuo lavoro: non sarai dimenticato.

È tutto per questa puntata di Mad Run: fate attenzione alle notti di luna piena, commentate sulla nostra pagina Facebook e fateci sapere se c’è una "mad run" a cui vorreste che dedicassimo una puntata della nostra rubrica!
Fino a quel momento… HEY, HO, LET’S GO!

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