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Mad Run #6: Batman e il mistero dei Beatles

Mad Run #6: Batman e il mistero dei Beatles

Bentornati su Mad Run, la rubrica più lisergica del panorama fumettistico italiano! Il nostro consueto spazio sta per arricchirsi di una colonna sonora importante, perché oggi parleremo dello straordinario incontro tra Batman, Robin e i Beatles! Portiamo le lancette dell’orologio indietro fino al 1970, anno in cui il Dinamico Duo incrociò la strada dei Baronetti più psichedelici di sua maestà! O quasi.

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L’albo in questione è Batman #222, scritto da Frank Robbins e disegnato da Irv Novick, autori di un importante ciclo del Crociato Incappucciato oscurato, però, dalla contemporanea e più celebrata run di Denny O’Neil e Neal Adams. In anni di riscoperta e di ristampe dei creativi più celebrati di Silver e Bronze Age, Robbins continua ad essere uno degli artisti più sottovalutati di entrambi i periodi, se non addirittura dimenticato. Eppure parliamo di un autore che ebbe il privilegio di lavorare col leggendario Milton Caniff, uno dei maestri assoluti del fumetto di tutti i tempi, e che creò una celebre striscia del dopoguerra, Johnny Hazard, che venne pubblicata per più di trent’anni sui maggiori quotidiani statunitensi.

Arrivato alla DC sul finire degli anni ’60, scrisse storie per Lois Lane e Superboy prima di vedersi assegnare entrambe le testate del Cavaliere Oscuro, Batman e Detective Comics. In coppia con Irv Novick, Robbins scriverà alcune tra le migliori storie di Batman del periodo, tra le quali vale la pena citare Un Colpo di troppo, thriller poliziesco che introduceva un cambiamento significativo nell’economia della serie, ossia la partenza di Robin/Dick Grayson per il college. Batman tornava quindi ad essere un giustiziere solitario, ricollegandosi alle sue radici gotiche. Tra gli altri contributi di Robbins al mito del Cavaliere Oscuro, ricordiamo Man-Bat, l’alter-ego mostruoso del Professor Langstrom che poteva trasformarsi in un vero ibrido tra uomo e pipistrello. Come dicevamo prima, le storie del Detective di Gotham firmate da Frank Robbins tendono oggi ad essere dimenticate, a favore di quelle coeve della celebre coppia O’Neil/Adams, e meritano senz’altro una riscoperta. Una significativa selezione è contenuta nel volume Batman dagli anni ’30 agli anni ‘70 pubblicato a suo tempo dalla Rizzoli – Milano Libri: se ne doveste trovare una copia in qualche bancarella dell’usato, non esitate a farla vostra.

Tornando a Frank Robbins, terminato il suo periodo alla DC si trasferirà alla Marvel dove lavorerà come disegnatore prima al Captain America scritto da Steve Englehart, in piena “Saga di Nomad”, e successivamente a The Invaders, la serie di ambientazione bellica scritta da Roy Thomas con protagonisti il Capitano e i suoi alleati in lotta contro le forze dell’asse durante la Seconda Guerra Mondiale. Avendo recuperato, da ragazzino, buona parte del periodo Corno nel mercato dell’usato, mantengo un ricordo vivido dello stile nervoso di Robbins: i suoi volti tirati, sudati, i suoi personaggi dallo sguardo fisso che sembravano costantemente sull’orlo di un esaurimento nervoso, i corpi contorti in posizioni anatomicamente impossibili, mi impressionavano e esercitavano su di me una grande suggestione. Il suo stile poteva non piacere ma era sicuramente originale ed innovativo, e meriterebbe una riscoperta.

La storia di cui parliamo in questa puntata uscì negli stessi mesi in cui si stava consumando lo scioglimento della band più influente e celebrata della storia della musica (a parere di chi scrive e non solo, ma chi non fosse d’accordo si può accomodare all’ascolto prolungato di Revolver, Sgt. Pepper, e il White Album. E mettiamoci pure Abbey Road).  L’uscita di Let it be sanciva nel 1970 la separazione ufficiale dei Beatles, ma in realtà l’album era stato registrato l’anno prima e John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr si erano già detti addio. La fine del gruppo sanciva il suo ingresso nella leggenda, e la sua influenza sulla cultura popolare e musicale, che era stata centrale per tutto il decennio precedente, si sarebbe fatta sentire per molti anni a venire. I Quattro di Liverpool erano stati, con l’eccezione pioneristica di Elvis Presley, il primo fenomeno di costume mondiale della storia, riuscendo ad attraversare gli ambiti più disparati. Per restare al nostro settore, John, Paul e Ringo erano stati addirittura coprotagonisti di una storia ambientata nell’Universo Marvel quando, in Strange Tales #130, avevano incontrato la Cosa e la Torcia Umana dei Fantastici Quattro.

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Di tutti i racconti e le leggende fiorite intorno al gruppo, nessuna raggiunse la popolarità della vicenda passata alla storia come Paul is dead. In seguito a un incidente d’auto patito nel 1966 da Paul McCartney, durante le registrazioni di Sgt. Pepper, si sparse la voce che il bassista dei Beatles fosse in realtà rimasto ucciso nello schianto della sua vettura e sostituito da un sosia, prontamente trovato dall’abile manager del gruppo, Brian Epstein, per non interrompere le attività della band che in quel momento era all’apice del successo. A seconda della versioni, il sostituto era un attore scozzese o un ex poliziotto canadese; in entrambi i casi, costui era stato sottoposto a un’operazione di chirurgia plastica per aumentare la sua somiglianza con McCartney. La leggenda cominciò a girare già nel novembre del 1966, ma la secca smentita dell’ufficio stampa del gruppo la mise a tacere. La diceria riaffiorò nel 1969, quando una radio di Detroit ricevette la telefonata di un misterioso individuo che sosteneva di essere al corrente della verità sull’incidente d’auto di tre anni prima, sostenendo che Paul era davvero morto e che gli indizi erano presenti in numerosi dischi dei Beatles. Le prove portate a sostegno della propria tesi dai sostenitori del complotto sono talmente numerose da aver ispirato una letteratura a parte, e qui ci limiteremo a citare la strofa di A day in the life, in cui si accenna ad un incidente d’auto mortale in cui il conducente non si era accorto del semaforo rosso, come nel caso di McCartney, o la celeberrima e iconica copertina di Abbey Road, in cui i quattro Beatles attraversano la strada e Paul è l’unico ad essere scalzo e fuori passo rispetto al resto del gruppo, quasi a sottolinearne l’estraneità. Quel che è certo è che gli stessi Beatles erano divertiti da questa vicenda e nel corso della loro carriera hanno fatto di tutto per alimentarla, in virtù di un gusto per il gioco e per lo scherzo che animava John Lennon in particolare. Nel 1970, quindi, la leggenda di Paul is dead era ben radicata nella cultura popolare dell’epoca e non stupisce che Robbins e Novick, i realizzatori della nostra storia, abbiano chiesto l’aiuto di Batman e Robin per confermarne o smentirne la veridicità! Andiamo quindi alla scoperta di Dead… till proven alive!, tradotto con un più prosaico La Sostituzione dalle Edizioni Cenisio nella versione italiana.

La storia si apre all’Università di Hudson dove un gruppo di studenti, tra cui Dick Grayson, sta ascoltando il nuovo album dei Twists (Oliver Twists nella versione originale). Il gruppo altro non è che la versione DC dei Beatles, i quali probabilmente non avevano dato il via libera all’editore per farli apparire nell’albo con i loro veri nomi. Così Paul, John, George e Ringo diventarono Glenn, Saul, Hal e Benji, benché ritratti da Irv Novick con le loro fattezze… anche se Saul, più che a Paul, somigliava a Jeff Lynne, frontman degli Electric Light Orchestra e amico fraterno di George. Il deejay suggerisce agli ascoltatori di ascoltare il disco a velocità diverse per cogliere dei messaggi nascosti che confermerebbero il decesso di Saul, tenuto nascosto dal resto del gruppo che avrebbe provveduto a sostituirlo con un sosia. La radio annuncia inoltre che il tour dei Twists raggiungerà a breve Gotham City, per provare a tutto il mondo che Saul Cartwright è ancora vivo. A questo punto, Dick contatta Bruce per suggerirgli di cogliere la palla la balzo e ospitare la band a Villa Wayne. Il miliardario accetta: Batman potrà così occuparsi del caso Saul.

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Così arriva il giorno dell’arrivo del gruppo a Gotham. I quattro musicisti vengono ricevuti da Bruce, Dick e Alfred. A sua insaputa, Bruce sta registrando la voce di Saul. Più tardi, insieme a Dick, effettuerà un confronto con l’audio dei dischi per capire se il bassista è veramente chi dice di essere.

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L’esame conferma i sospetti di Bruce e Dick: gli spettri sonori sono differenti! Serve però un ulteriore conferma: lo spettro sonoro è sempre diverso a seconda che si canti o si parli. Nei panni di Robin, Dick entra nella camera di Saul per prelevare il mangiacassette che l’artista porta sempre in viaggio con sé, per poterlo utilizzare in caso di un’ispirazione improvvisa.

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Ma quando meno se lo aspetta, il giovane aiutante di Batman viene aggredito da un misterioso individuo, che gli sottrae il mangianastri. I sospetti del dinamico duo ricadono ovviamente su Saul.

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Bruce non si arrende e ricorre ad uno stratagemma per registrare ancora la voce di Saul: approfittando del compleanno di Alfred, chiede al gruppo di intonare un “Happy Birthday” in suo onore!

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Qui entriamo con tutte le scarpe nel momento più “weirdo” dell’intera vicenda, che calza a pennello con la natura di questa rubrica. Nel malaugurato caso in cui Batman non riuscisse a risolvere il caso, disporrebbe pur sempre di un bootleg dei “Beatles” che cantano “Birthday” nel suo salotto, una vera rarità!
Durante il confronto tra il nastro e le telefonate fatte da Saul, Batman e Robin ascoltano il bassista mentre prende appuntamento con il proprietario di una sala registrazioni. I due si affrettano a raggiungere il gruppo sperando di risolvere il mistero, ma vengono aggrediti da una banda di balordi che li stava aspettando. La telefonata era una trappola.

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Sgominati i delinquenti, il Cavaliere Oscuro decide di tornare alla Tenuta Wayne e di prendere il toro per le corna affrontando direttamente Saul. Quello che non poteva immaginare è che il vero responsabile è Glenn, che tenta di aggredirlo con una pistola, minaccia prontamente sventata da Saul.

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Il bassista può quindi rivelare la verità a Batman e a Robin: è lui l’unico superstite del gruppo originale, mentre i suoi compagni sono deceduti in un incidente con un jet privato, mentre si recavano in Nepal. Il povero Saul si era affrettato a trovare tre sosia di Glenn, Hal e Benji per salvare la band, sottoponendoli ad interventi di chirurgia plastica per aumentare la somiglianza con i suoi amici scomparsi. Per sviare qualsiasi sospetto, Saul aveva inventato e messo in giro la diceria sulla sua morte, polarizzando su di sé l’attenzione e sviandola dai “nuovi compagni”. Unico problema, la bramosia di denaro dell’avido, “nuovo” Glenn. Batman suggerisce a Saul di non disperdere il suo talento e di formare un nuovo complesso con “Hal” e “Benji”.

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Così grazie al dinamico duo, dalle ceneri dei Twists nasce un nuovo gruppo di successo, i Phoenix.

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Sperando che, nella finzione, producano musica migliore di quella dei Wings, gruppo creato da McCartney dopo i fasti degli anni con i Beatles e ritenuto da molti critici un passo falso nella straordinaria carriera di Sir Paul.

Prima di salutarci, è giusto tributare un piccolo omaggio all’artista di questo episodio cult di Batman, Irv Novick. Si tratta di un ottimo artigiano del fumetto, che ha legato il suo nome principalmente alle storie di Flash, ma che ha firmato anche storie significative del Cavaliere Oscuro (una delle mie preferite è il Demone di Gothos Mansion, storia dai toni horror stile film Hammer, scritta da Denny O’Neil). La sfortuna di Novick è stata quella di aver disegnato Batman nello stesso momento in cui il grande Neal Adams ne forniva la sua versione iconica, elemento che ha certamente relegato nell’ombra gli sforzi artistici del buon Irv.

È tutto per questa puntata di Mad Run! Ho una pila di vinili da far girare al contrario, a partire da Starway to Heaven dei Led Zeppelin: dicono che ci sia un messaggio nascosto, quindi vi saluto e vi do appuntamento alla prossima!
Scriveteci e commentate sulla nostra pagina Facebook per farci sapere se c’è una Mad Run che vorreste vedere apparire nella nostra rubrica. Fino a quel momento…
HEY, HO, LET’S GO!

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