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La fine (?) di Naruto, una riflessione

Terminare un'opera dalla lunga gestazione è sempre problematico, e non tanto per concludere la trama e ricongiungere tutte le fila - il che non sempre è un'impresa facile. Uno dei problemi principali, che potremmo dire si svincola dalle abilità narrative dell'autore stesso, è il confronto con il pubblico. Quel fandom più o meno ingente che l'opera è riuscita a creare attorno a sé e che diventa di tutto diritto parte integrante del processo di prosecuzione, creazione e conclusione del lavoro con cui l'autore deve necessariamente confrontarsi. Anche, se vogliamo, da un mero punto di vista economico. E questo problema è cruciale per un'opera letteraria quanto per una cinematografica.

Lo vediamo ora con Naruto come lo vedremo prossimamente con Bleach, One Piece o semplicemente con Game of Thrones. L'abbiamo visto con la fine di Lost o quella di Dr. House; come la parte finale di qualunque progetto possa portare il lettore/osservatore a rivalutare o svalutare un'intera opera nel suo complesso, spesso ingiustamente, conferendogli, emotivamente, un peso statistico superiore al resto.

Ma torniamo al nostro Naruto, manga di Masashi Kishimoto terminato da poco con il capitolo #700 dopo ben 15 anni di pubblicazione; uno dei più importanti fenomeni della letteratura fumettistica giapponese recente, con milioni e milioni di copie vendute, traduzioni in moltissime lingue, serie anime di successo e film cinematografici a seguito più o meno pregevoli.
Uno dei tre principali titoli di punta che hanno rivoluzionato il concetto di fumetto di massa come Bleach e One Piece, Naruto si è fatto strada tra i giovani fan con un'irruenza e un potere espressivo molto forti, complice la morale che ha accompagnato l'opera sin dalle sue prime fasi, molto sentita e facilmente comprensibile e sperimentabile dal target di pubblico a cui la stessa si rivolge, lo shōnen, per l'appunto, ossia un ragazzo nell'età di transizione adolescenziale.

L'importanza dell'amore, dell'amicizia, dell'empatia, della fratellanza, della condivisione del dolore, dell'accettazione delle diversità, sono tutti temi che vengono trattati con particolare accortezza e delicatezza dal Maestro, sebbene la reiterazione dei concetti abbia spesso causato la predicibilità e la scontatezza della trama in alcuni passaggi. Questo fil rouge solidale all'intera opera è stato tale fino al finale. Questa morale di fondo ha impregnato tutta la storia giungendo intatta fino agli ultimi capitoli, che sono risultati apprezzabili proprio perchè coerenti con il resto dell'opera. Perchè hanno dato al pubblico quello che voleva, la soluzione al conflitto ideologico duale che trovava i suoi campioni in Naruto e Sasuke, nemesi dicotomiche rappresentanti due visioni diverse del medesimo mondo, che era giusto si scontrassero per netto divario di metodiche e ideali.

Una conclusione degna che regala finalmente anche uno sguardo al futuro con rinnovata speranza, ponendo le basi per una nuova società più libera e giusta, guidata da quelli che furono gli oppressi, gli emarginati e le vittime del precedente sistema governativo. Tuttavia il vero punto critico dell'opera è stato il lungo peregrinare fino alla meta finale, ossia quell'arco narrativo che ha incanalato la storia verso l'ineluttabile termine.
Sebbene vi siano state saghe di indubbia qualità nel corso dell'opera, nell'ultima parte del manga Kishimoto sembrava quasi aver perso la bussola, rendendo la trama caotica e poco lineare, poco fluida, per colpa soprattutto dell'alimentazione eccessiva della fiamma, che ha portato ad un'escalation incontrollabile che è sfuggita dalle mani dello stesso autore. In primis la connotazione ereditaria e transgenerazionale dello scontro conclusivo tra gli eredi di Hagoromo, l'eremita delle sei vie. Da Madara a Kaguya il livello di potere del villain è cresciuto esponenzialmente fino a portare ad una sconfitta degli stessi poco credibile e raffazzonata, ma obbligata per potersi ricondurre in qualche modo all'inevitabile happy ending.

La caduta di qualità del prodotto nelle fasi finali è stata evidente, anche se, come si diceva prima, non sarebbe corretto dare un giudizio complessivo facendo leva principalmente su questo aspetto.
Una cosa che fa storcere il naso però è la volontà dello stesso Kishimoto di colmare lo shift temporale tra il capitolo #699 e il finale #700 tramite la realizzazione di un film d'animazione, The Last: Naruto the Movie, in uscita il 6 dicembre in Giappone, considerandolo ufficialmente come parte integrante dell'opera stessa e riconoscendolo come capitolo #699.5. Questo lascia il lettore del manga abbastanza contrariato, orfano di una parte della trama che non verrà trasposta in cartaceo, ma potrà essere fruita unicamente mediante un altro mezzo. La crossmedialità del racconto si è protratta fino alla condizione tale per cui per fruirne interamente bisogna necessariamente svincolarsi da un media per approdare ad un altro.
Ultimamente si sta sempre più evolvendo verso questa comunione dei media che frammenta la narrazione in molteplici rami da cui spesso non si riesce più ad estrarne un prodotto unitario e coerente con sè stesso. Una scelta quindi un po' azzardata considerando il fatto che il film non verrà probabilmente acquistato in tutti i Paesi in cui l'opera è stata tradotta, generando un possesso e un consumo incompleto della storia per molti fan.

Senza contare, inoltre, che ad aprile arriverà lo spin-off della serie...

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