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Doomsday Clock, recensione: l'opera di Johns e Franks fra seguito di Watchmen e futuro della DC

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È arrivata finalmente a conclusione anche da noi Doomsday Clock, la maxiserie di dodici numeri con cui Geoff Johns e Gary Frank hanno trasportato all’interno del multiverso DC i personaggi di Watchmen, il capolavoro con cui, a metà degli agli anni Ottanta, Alan Moore e Dave Gibbons hanno contribuito in maniera determinante a rivoluzionare il genere supereroistico. E sebbene le traversie dell’edizione italiana abbiano messo a dura prova la pazienza dei lettori, occorre ricordare che anche negli USA le cose non sono andate meglio, dato che, dopo l’uscita del primo numero nel novembre del 2017, gli appassionati d’oltreoceano hanno dovuto aspettare fino al dicembre del 2019 per poter sfogliare le ultime pagine dell’opera. A questo proposito, permetteteci una breve digressione per rendere il giusto merito alla Panini, che, prima di mandare in libreria il volume che raccoglie la serie per intero, ha pubblicato i quattro capitoli finali nello stesso formato adottato dalla Lion, la quale, come sappiamo, è stata costretta a interrompere le pubblicazioni di Doomsday Clock con il numero otto, a seguito del passaggio dei diritti dei personaggi DC all’editore modenese. Non solo, gli episodi mancanti sono usciti a cadenza regolare e persino a un prezzo sensibilmente più basso rispetto a quello precedente (ogni albetto spillato della Lion costava 4,50 €, contro i 3,00 € di quelli della Panini. Escludendo, naturalmente, l’ultimo numero, che avendo una foliazione maggiore è stato proposto a 5,00 €). Di recente criticati - non sempre a torto - per alcune scelte editoriali un po’ controverse, in questo caso Marco Marcello Lupoi e il suo staff hanno, invece, dimostrato di essere vicini alle esigenze dei propri lettori.

Tornando ai contrattempi di Doomsday Clock, saremmo quasi tentati di credere che a causarli sia stato qualche strano sortilegio ideato da Moore (di cui è nota la passione per magia ed esoterismo) per colpire la dirigenza DC, colpevole di aver messo in cantiere un progetto del genere. Battute a parte, sebbene sulla contrarietà del bardo di Northampton non ci siano dubbi, il suo progressivo allontanamento dai fumetti potrebbe, in realtà, aver ingenerato in lui un totale disinteresse verso il destino delle sue creazioni. A meno di improbabili ripensamenti, infatti, La Tempesta, ultimo capitolo de La Lega degli Straordinari Gentlemen - che prima o poi la Bao Publishing porterà anche in Italia - dovrebbe segnare il suo addio definitivo alla Nona Arte. È molto più verosimile, al contrario, che Johns e Frank, desiderosi di arrivare nel miglior modo possibile all’inevitabile confronto con la serie originale, abbiano deciso di mettere da parte il rispetto delle scadenze, per essere sicuri di riuscire a realizzare un’opera di altissimo livello ed evitare, così, la brutta figura paventata (per non dire augurata) da molti.

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In effetti, da quando, qualche anno fa, lo scrittore di Detroit ha deciso di tirare in ballo il Dottor Manhattan per giustificare il repentino ritorno del multiverso DC alla continuity pre-Flashpoint, parte del fandom ha vissuto un momento di smarrimento, temendo che la brillante trovata di Johns si riducesse a una mera operazione di marketing, necessaria solo a nascondere il fallimento dell’iniziativa The New 52. Poi ci si sono messi gli stessi vertici DC a gettare benzina sul fuoco, annunciando che Doomsday Clock sarebbe stato il seguito ufficiale di Watchmen. Il cartoonist americano, tuttavia, forse timoroso di aver fatto il passo più lungo della gamba, si è affrettato presto a chiarire che l’utilizzo di Ozymandias e soci dovesse essere visto esclusivamente come un escamotage utile a dare una spiegazione logica e definitiva a tutte le “crisi” spazio-temporali, impiegate periodicamente dalla casa editrice newyorkese per fare ordine nella sua storia pluridecennale, e non come un proseguimento della vicenda immaginata da Moore e Gibbons. È pur vero, però, che già la grafica delle copertine degli albi (praticamente identica a quella della serie dei due autori inglesi), così come l’utilizzo di pagine di approfondimento nel finale di ogni capitolo (una delle caratteristiche più note dell’opera originale) sembrerebbero smentire le affermazioni di Johns. Non solo, lo scenario in cui veniamo catapultati fin dalle prime pagine è proprio quello di Watchmen, sebbene a qualche anno di distanza dal finale della serie degli anni Ottanta.

Siamo nel 1992 e il piano ideato da Adrian Veidt per porre fine all’escalation militare, che avrebbe presto condotto Stati Uniti e Unione Sovietica ad annientarsi a vicenda, è stato portato alla luce, con la conseguenza di risvegliare rivalità tra nazioni mai sopite e di avvicinare pericolosamente l’umanità all’olocausto nucleare. Nel frattempo, facciamo la conoscenza di un nuovo Rorschach, arruolato da Veidt per far evadere Mimo e Marionetta, due criminali apparentemente necessari a convincere il Dottor Manhattan a salvare il mondo. Solo nelle ultime pagine cominciano a far capolino i classici personaggi DC, con Clark Kent che in sogno rivive la morte dei propri genitori, avvenuta quando frequentava il liceo di Smallville. Anche il secondo capitolo sembra iniziare come il primo, con una lunga sequenza dedicata di nuovo a Rorschach e Ozymandias. Presto, però, l’intreccio comincia a seguire una strada diversa e la vera natura della serie inizia a prendere forma. Inoltre, l’attesa per vedere il fatidico incontro tra i personaggi DC e quelli di Watchmen è molto breve, e cosa ancora più sorprendente, quando questo avviene, tutti i protagonisti coinvolti sembrano realmente fare parte dello stesso universo fumettistico. Merito senz’altro di Johns, finalmente tornato ai livelli della sua lunga gestione di Lanterna Verde, che mostra sia un’insospettabile capacità nel saper amalgamare supereroi narrativamente agli antipodi, che una maturità dei testi a cui non era arrivato neppure nei suoi lavori più riusciti. Due qualità utili a garantirgli quello che probabilmente era il suo obiettivo principale: scrivere una storia più mainstream, provando a non tradire fino in fondo l’opera di Moore e Gibbons. Per fare questo, il cartoonist americano adotta uno stile di scrittura diverso rispetto al passato, con molti elementi che ricordano la prosa dell’autore di V for Vendetta e From Hell. Ciò è vero soprattutto all’inizio, quando, come detto, i protagonisti della vicenda sono Rorschach e compagni. Ma, man mano che la storia procede, si ha una lenta inversione di tendenza, che arriva a completarsi nell’episodio conclusivo, dove tutto il pessimismo (o quantomeno il cinismo) insito nella serie degli anni Ottanta, lascia definitivamente il passo a quella visione più idealistica del genere supereroistico, che, almeno fino a questo momento, ha sempre contraddistinto tutti i lavori di Johns (anche se presto potremmo essere smentiti dal recente Tre Joker, di cui è iniziata da poco la pubblicazione in Italia e che si preannuncia decisamente più oscura). Pertanto, non è un caso che sia Superman (emblema della positività per antonomasia) a diventare centrale nel finale della storia, così come non dobbiamo sorprenderci se in questo processo anche un personaggio che trascende la moralità come il Dottor Manhattan venga in parte snaturato e, analogamente, che il destino di Ozymandias si compia nella maniera più prevedibile. E a proposito dell’alter-ego di Adrian Veidt, il parallelismo con Lex Luthor è un vero tocco di classe da parte dello scrittore di Detroit, perché le similitudini tra i due personaggi sono effettivamente parecchie, anche mantenendo una rappresentazione del primo molto vicina a quella che ne aveva dato Moore.

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Sono, invece, gli eroi DC più importanti a conservare quasi inalterate le loro caratteristiche, sebbene vengano coinvolti in un intrigo internazionale dove l’accostamento all’attualità del nostro mondo è più che tangibile. Proprio per questo, abituati a immaginare Superman & Co. in città fittizie come Metropolis e Gotham City, vederli contrapposti a personaggi reali come Vladimir Putin crea un’innegabile sensazione di straniamento. Si tratta, però, di un ulteriore tentativo di Johns di avvicinarsi a Watchmen, con il risultato che alcuni character secondari, di cui mai avremmo pensato male, si rivelano improvvisamente ambigui, opachi, o anche semplicemente stravolti rispetto a come ci erano stati presentati finora. Una conseguenza non da poco, dato che Doomsday Clock è una saga progettata per fare parte a pieno titolo della continuity DC (sebbene mostri avvenimenti futuri), per cui quanto è stato rivelato in essa, porterà a sicure ripercussioni negli anni a venire. Assieme a questo, il cartoonist americano riesce effettivamente a chiarire in maniera definitiva la natura del multiverso DC e a rimuovere gli ultimi paletti piantati durante l’evento Flashpoint (da lui stesso concepito), dimostrandosi anche capace di omaggiare ripetutamente la serie di Moore e Gibbons. Riguardo a quest’ultimo punto, oltre agli esempi già citati, vanno almeno ricordati la sottotrama con protagonista Carver Colman, che, pur con importanti differenze, sembra essere una versione aggiornata della storia di pirati presente nelle pagine di Watchmen, e l’utilizzo di personaggi ispirati a quelli che la DC ha ereditato dalla defunta Charlton Comics. Mimo e Marionetta, infatti, sono una rivisitazione di Punch e Jewelee, così come Capitan Atom e The Question, per esempio, erano stati il modello a cui si era ispirato Moore per il Dottor Manhattan e Rorschach. Ora, però, che tutti questi personaggi convivono nello stesso universo, si è venuta a creare una situazione un po’ paradossale, con cui Johns si diverte a giocare, dato che, a un certo punto, sono proprio Capitan Atom e il Dottor Manhattan ad arrivare allo scontro. Per come vanno le cose durante il resto della storia, tuttavia, difficilmente si vedranno in futuro altre bizzarrie di questo tipo. Tranne che per un’importante eccezione. Non tutti, in effetti, rammentano che Ozymandias nasce come reinterpretazione di Peter Cannon, alias Thunderbolt, unico personaggio ex-Charlton a non essere finito in mano all’editore newyorkese (i diritti appartengono alla Dynamite, che, di recente, ha dedicato all’eroe una nuova miniserie, acclamata dalla critica – ma ancora inedita in Italia - scritta da Kieron Gillen), pertanto è probabile che il megalomane Adrian Veidt torni presto a far danni in casa DC.
 
Passando ai bellissimi disegni di Frank, abbiamo scritto così tanto dei testi di Johns, che qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a ritenerli un aspetto secondario dell’opera. E sarebbe davvero un grave errore, perché l’autore britannico, per nulla intimorito dalla gabbia a nove vignette di gran parte delle tavole (ennesimo omaggio alla serie di Moore e Gibbons), conferma di essere non solo nel pieno della sua maturità artistica, ma anche uno dei migliori disegnatori in circolazione. Ogni pagina dei dodici capitoli che compongono la serie - dove non va sottovalutato neppure l’ottimo lavoro di Brad Anderson ai colori - sono un’autentica gioia per gli occhi ed è veramente difficile scorgere in esse un dettaglio fuori posto: le anatomie sfiorano la perfezione e l’espressività dei protagonisti è tale da rendere quasi inutili balloon e didascalie. Solo nelle splash page dell’episodio finale si nota qualche piccola incertezza, probabilmente causata dall’elevatissimo numero di personaggi presenti.
Capofila di coloro che preferiscono la classicità alla novità, Frank può essere considerato una sorta di moderno Alex Raymond o un erede di Neal Adams e, soprattutto, uno dei pochissimi di cui il solo nome è già sinonimo di qualità.

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Alla fine, quindi, Doomsday Clock è un’opera che vale la pena leggere? Sicuramente sì, ma con un avvertimento: se siete tra coloro che si attendevano seriamente un seguito di Watchmen, allora è meglio che lasciate perdere. Si sarà ormai capito, infatti, che, a dispetto delle sequenze iniziali, tutte dedicate alla serie originale, Johns e Frank hanno realizzato in realtà una classica storia di supereroi. Più moderna e più raffinata quanto si vuole, ma pur sempre un racconto che, in definitiva, celebra ancora una volta la vittoria dei buoni sui cattivi. D’altra parte, era lecito aspettarsi qualcosa di diverso? Secondo noi no e quando ci si trova di fronte a una trama appassionante e perfettamente coerente dal punto di vista narrativo - oltreché illustrata magnificamente - ogni passaggio autoriale, se presente, diventa persino superfluo. Doomsday Clock è intrattenimento puro, al massimo del suo potenziale. E tanto basta.

 

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Tutto Doomsday Clock in un unico volume

  • Pubblicato in News

Sul nuovo numero di Anteprima appena uscito, Panini Comics ha annunciato un volume che raccoglie tutti i 12 albi di Doomsday Clock, la celebre saga di Geoff Johns e Gary Frank che ha visto interagire i protagonisti di Watchmen con l'universo DC Comics.

La saga, pubblicata finora in albi singoli, ha cominciato il suo cammino sotto il marchio RW Lion ed è stata portata a termine da Panini Comics in seguito al passaggio dei diritti DC fra gli editori.

Il nuovo volume, di 456 pagine, è previsto per dicembre e costerà 40€. Di seguito tutti i dettagli.

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Doomsday Clock 1, recensione: arriva in Italia la serie evento di Geoff Johns e Gary Frank

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Nell'era della connessione globale, in cui tutti siamo in grado di conoscere istantaneamente ciò che accade dall'altra parte del mondo, risulta difficile dire qualcosa di nuovo, se non che di interessante, su un evento deflagrato oramai quasi un anno e mezzo fa.
Tanto è trascorso dall'uscita negli U.S.A. del primo numero della miniserie Doomsday Clock che, complice anche una rimodulazione dell'originale programmazione (la serie è presto divenuta bimestrale, da poco è stato dato alle stampe il nono episodio), solo in questi giorni approda nel Bel Paese.

È ben probabile che la variazione della periodicità sia ascrivibile al tempo necessario all'artista incaricato, l'oramai italiano d'adozione Gary Frank, di completare le tavole di quella che fin d'ora può tranquillamente affermarsi sarà un'opera di altissimo livello, sia narrativo che grafico. Seppure uno iato di 60 (e talvolta oltre) giorni tra un'uscita e l'altra possa andare a discapito della leggibilità nell'immediato, la scelta della DC Comics appare pienamente condivisibile: è evidente come la serie sia stata concepita per rappresentare un punto fermo nell'universo narrativo della casa editrice e non come uno dei tanti, periodici "eventi"; l'obiettivo, palese anche se non dichiarato, è quello di creare un long-seller, in grado di rivaleggiare con altri fumetti iconici (lo stesso Watchmen, Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, La Nuova Frontiera). Per realizzare tutto ciò la DC ha ben compreso come un'elevata ed uniforme qualità grafica costituisca un requisito fondamentale. La qualità, del resto, paga sempre: in tal senso la scelta dello sceneggiatore è una ulteriore dichiarazione di intenti. Geoff Johns è stato ed è senz'altro ancora il principale "architetto" di cui la casa di Burbank disponga e, soprattutto, è un profondissimo conoscitore di tutte le pieghe narrative del multiverso DC, oltre che un vero amante dei personaggi.

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La scelta del team creativo, quindi, appare di alto livello e, per quanto ci riguarda, è stata fin dall'origine adeguatamente rassicurante sulla bontà del progetto. Al di là delle presunte (e, probabilmente, reali) contrarietà di Alan Moore al nuovo sfruttamento dell'universo narrativo dallo stesso creato (già espresse, del resto, rispetto alle serie del progetto Before Watchmen, alcune delle quali, nondimeno, sono risultate assolutamente godibili e adeguatamente in linea con lo spirito dei personaggi e dell'opera principale) l'apparente idea di fondo è semplice, eppure geniale: come è possibile correggere un evidente errore di programmazione - i Nuovi 52, originati dall'evento Flashpoint e pensati come un ennesimo reboot dell'universo narrativo, hanno mostrato evidenti limiti, non aggiungendo molto alle serie già in sofferenza ed, anzi, scontentando per numerosi aspetti i fan di lunga data - ed, insieme, generare hype nella comunità fumettistica, sempre più scettica circa la reale incidenza degli (spesso promessi e quasi mai mantenuti) sconvolgenti novità?

Confessiamo che diversi anni addietro Johns ci ha conquistati "a vita" con la Rinascita di Lanterna Verde: riportare in auge Hal Jordan dopo gli sconquassi a cui lo stesso era stato sottoposto e le azioni commesse come Parallax era quasi impossibile. Eppure l'autore statunitense ha trovato il grimaldello giusto, sotto forma di "impurità"… Allo stesso modo alla base di tutta l'architettura della articolata storyline di cui Doomsday Clock costituirà il culmine - non per caso introdotta da un numero speciale intitolato "Rinascita" - si pone un "piccolo" dettaglio seminato da Moore: il Dr. Manhattan, raggiunta alla fine di Watchmen una chiara dimensione divina, aveva affermato la sua intenzione di creare vita nell'universo…
La serie dovrebbe, quindi, valere a fugare i (pochi) dubbi circa l'identificazione dell'anomalia che ha sottratto un quid all'universo DC (eliminando dalla continuity la Justice Society e la Legione dei Super Eroi, facendo dimenticare l'esistenza di Wally West e modificando il passato di alcuni eroi,  tra cui Superman) e portare allo scontro (auspichiamo non fisico o, comunque, non solo) tra Superman ed il presunto deus ex machina: il Dr. Manhattan.

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Venendo al numero introduttivo bastano poche pagine per comprendere come gli autori abbiano fatto centro: siamo nel 1992, sono passati alcuni anni dal dirompente finale di Watchmen e la situazione, se possibile, è ancora peggiore di quanto non fosse stata in precedenza. Chiunque legga questo articolo dovrebbe già sapere che le macchinazioni di Veidt sono state svelate grazie al diario di Rorschach; Ozymandias è quindi in fuga, ricercato per l'omicidio di oltre tre milioni di persone e il mondo è al collasso: i sovietici accusano il governo americano di collusioni con Veidt e si preparano ad invadere la Polonia, il presidente Redford (!) ha adottato provvedimenti di aspra repressione della libertà di stampa, i coreani hanno testato missili in grado di raggiungere gli USA. In questo apocalittico scenario Rorschach (o, almeno, un Rorschach) è alla ricerca dell'unica soluzione per evitare il collasso: trovare il Dr. Manhattan. Per fare ciò, però, deve ricorrere all'aiuto di due criminali, Mimo e Marionette (già molto ben delineati, rielaborazioni di due vecchi personaggi dell'universo Charlton, da cui Moore aveva come è noto attinto per il cast originale) e del buon, vecchio Ozymandias...

Johns adotta uno stile di scrittura che non si limita a riecheggiare gli stilemi di Moore (per i fan è però evidente come l'intero numero sia infarcito di richiami, rimandi, ammiccamenti sia alla serie originale che alle serie "Before") ed immerge immediatamente nella "bolla" dell'universo Wathmen: leggendo è come se non fossimo mai andati via, si avverte un senso di oppressione, di minaccia incombente ed inevitabile nel quale l'autore riesce ad inserire chiari richiami e critiche all'attualità che contribuiscono a rendere tutto più reale.

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Gary Frank, oltre a volti ed anatomie perfette e sfondi ben dettagliati, riutilizza la classica gabbia a nove vignette, prendendosi, tuttavia, più di una licenza per modificare dove necessario il ritmo narrativo. Anche la colorazione dell'albo ad opera di Brad Anderson è di alto livello: dai toni caldi, con una predominanza dell'arancio della dimensione Watchmen (che contribuiscono ottimamente a creare il senso di minaccia ed isteria diffusa) passiamo ai toni più freddi, con preponderanza dell'azzurro della Terra - 0 (l'espediente ci ha riportato alla memoria alcune delle sigle della serie tv Fringe, connotate dall'alternanza tra rosso e blu, indicative dell'universo in cui si sarebbe svolta l'azione).

In definitiva un ottimo debutto, dal quale traspare una accurata preparazione e l'evidente intenzione di rendere la serie un capitolo fondamentale della storia dell'universo DC; non vediamo l'ora di raccontarvi gli ulteriori capitoli...

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