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Myrna e il tocco della morte: intervista a Sergio Algozzino e a Deborah Allo

Dopo Il Piccolo Caronte, prosegue la collaborazione artistica fra Sergio Algozzino e Deborah Allo e, sempre per Tunué, arriva Myrna e il tocco della morte. Una vicenda forte e intensa, narrata con grande sensibilità dai due artisti. Myrna è una ragazza che cresce in solitudine a causa del suo nefasto potere, quello di un tocco in grado di uccidere le persone, ma non le piante.
Abbiamo intervistato i due autori per approfondire la loro nuova opera e il loro lavoro.

Questa è la vostra seconda collaborazione dopo Il piccolo Caronte, come è avvenuto il vostro incontro artistico?
Deborah: Ci siamo conosciuti alla Scuola del Fumetto di Palermo. Sergio è stato mio docente, ma solo dopo la scuola mi ha proposto di fare una prova grafica per Il piccolo Caronte. Myrna nasce subito dopo.
Sergio: Alla Scuola di Fumetto di Palermo, come insegnante e allieva. Per me è stato rilevante il fatto che conoscessi non solo la sua bravura tecnica ma anche la sua sensibilità artistica.

Com'è nata l'idea per Myrna e il tocco della morte?
Deborah: Sergio, la domanda è tutta tua!
Sergio: Scrivo tante storie ma non è detto che poi le veda disegnate da me, ma è una cosa che ho dovuto capire nel tempo. Sia Il Piccolo Caronte che Myrna rappresentano la mia voglia di raccontare tematiche e atmosfere che amo molto e i due soggetti sono stati scritti una buona decina di anni fa, tempo che ho utilizzato per scrivere e disegnare altri libri.
Nonostante tutto, tornavo periodicamente su quei soggetti, avrei voluto farli e poi alla fine facevo un Storie di un Attesa o altro, capendo così che dovevo guardarli da un'altra prospettiva e portarli al termine non come autore completo.

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Quest'opera segue la scia de Il piccolo Caronte, quali sono le differenze e le similitudine rispetto al precedente lavoro?
Deborah: Dal punto di vista grafico le differenze sono molteplici. Nel primo libro ero ancora in una fase sperimentale, tanto che ho fatto una “macedonia” di stili misti, un puzzle di manuale e digitale anche in una sola pagina a volte, fino ad arrivare alle ultime tavole in cui mi rassegnai al solo digitale. Dopo Caronte ebbi il tempo di capire, tramite mie illustrazioni, che in realtà preferivo di gran lunga il disegno tradizionale, con carta e inchiostro. Per Myrna, infatti, le tavole sono tutte realizzate su carta da cartamodello e solo il colore è digitale.
Sergio: In comune c'è sicuramente l'atmosfera, il genere, i disegni di Deb e il mio approccio alla scrittura, con tematiche forti e a volte molto violente (qui più che in Caronte), dialoghi a volte importanti e a volte piuttosto leggeri, non amo un unico tono narrativo, trovo più interessanti le opere che non si prendono troppo sul serio anche se hanno qualcosa di serio da dire. Per me fanno parte di un unico mondo, non inteso come quello dei Supereroi ma come i Gialli Mondadori.

Ne Myrna e il tocco della morte uno dei temi portanti è quello della diversità che, in un periodo di forte intolleranza come quello che stiamo vivendo, è purtroppo molto attuale. Qual è il messaggio che il libro vuole lanciare?
Deborah: In questo libro sono tante le sfumature che si possono cogliere… la diversità è una tematica sempre attuale e non sempre capita. Tutti noi abbiamo delle diversità, che siano esse fisiche o mentali, altrimenti il mondo sarebbe statico! Ogni tipo di “menomazione” può rivelare una ricchezza nascosta, che potrà venire alla luce solo grazie alla sua accettazione. Se tutto questo venisse rifiutato, rimarrebbe nell’ombra… e l’ombra più la ignori, più diventa incontenibile.

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Mi incuriosisce molto il target di riferimento per cui avete pensato l'opera. Apparentemente, è una lettura per tutti, anche per i più piccoli, ma alcuni elementi un po' macabri la portano verso un pubblico più maturo.
Sergio: Che dovremmo anzitutto accettare noi stessi per iniziare a vivere bene con gli altri, non è solo una classica critica agli intolleranti. Spesso e volentieri il nostro peggior nemico è quello che vediamo allo specchio.

Sergio, tu sei sia disegnatore che sceneggiatore. Come ti approcci al lavoro quando affidi le tue storie a un altro artista? Realizzi storyboard, progetti le tavole e i personaggi insieme al disegnatore o lasci campo libero?
Sergio: Per Caronte ho fatto degli storyboard per conto mio per poi scrivere a inviare a Deb solo la sceneggiatura. Giunti al capitolo finale però le inviai quello storyboard perché in alcuni casi facevo fatica a spiegare cosa avevo in testa, storyboard piuttosto blandi nel disegno ma che magari chiarivano la struttura compositiva delle vignette e la disposizione delle stesse. Deb ha potuto quindi disegnare più rilassata, senza cercare di interpretare le mie parole per la composizione e lasciandosi andare totalmente, e io in effetti fui ancora più contento del risultato.

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Deborah, qual è l'aspetto su cui ti sei concentrata maggiormente per quanto riguarda la realizzazione delle tavole e del mondo gotico di Myrna e il tocco della Morte?
Deborah: Sicuramente nella realizzazione dei personaggi! Mi sono divertita a riprodurli anche in plastilina. In particolare ho amato immaginare l’abbigliamento della protagonista, mi ero creata proprio una serie di vestitini e guanti che poi “non ha indossato” perché sono stati sostituiti dalle bende.

Quali sono i vostri prossimi progetti?
Deborah: Tanti progetti in mente, ma nessuno da svelare.
Sergio: Io ho una terza storia del genere, vorrei farne una vera e propria trilogia, ma intanto pensiamo a questo. In parallelo, sul fronte libri a fumetti a settembre uscirà Nellie Bly, scritto da Luciana Cimino e che invece ho disegnato, sempre per Tunué e ho già una trentina di pagine di una storia scritta e disegnata da me in corso e almeno altre tre o quattro storie che vorrei fare ma l'unico problema è sempre e solo il tempo e magari anche me stesso. L'ho detto su che il nostro peggior nemico a volte siamo noi stessi, no?

 

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Il viaggio del piccolo Caronte, la recensione del fumetto di Algozzino e Allo

Ne Il piccolo Caronte di Sergio Algozzino e Deborah Allo, l’oltretomba è diverso da come lo conosciamo. La divisione dualistica fra bene e male non è così netta, non c’è un paradiso o un inferno, ma un luogo decisamente più stratificato e complesso che rende sterili le nostre semplicistiche classificazioni. In questo luogo, anche iconograficamente differente dal nostro immaginario, esistono ruoli millenari e, alcuni di loro, vengono tramandati da padre in figlio. Un esempio è quello di Caronte, il traghettatore delle anime. Il suo compito non è paragonabile a un semplice “servizio navetta” che trasporta anime da una parte all’altra, ma equivale a un viaggio in cui si prende coscienza della propria nuova condizione. Il ruolo di Caronte, dunque, non è affatto scontato o meccanico e per svolgerlo al meglio bisogna conoscere a fondo l’animo umano, carpire il segreto della vita e l’importanza di ogni singola esistenza. Quando dunque il Caronte in carica scompare misteriosamente, tocca a suo figlio Mono prenderne il posto.

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Il perno su cui ruota il racconto orchestrato da Algozzino è la preparazione del giovane, si fa per dire (parliamo comunque di essere semi-immortali), alla sua nuova esistenza. Il libro, dunque, è diviso in tre capitoli in cui il protagonista si confronterà con altrettante entità: le moire nel primo, il cugino Momo esiliato sulla Terra nel secondo, e Hypnos, fratello della Morte, nel terzo. Ogni incontro sarà fondamentale per la preparazione di Mono permettendogli di aprire i propri orizzonti mentali e di accrescere la propria esperienza.

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Il piccolo Caronte, dunque, è un romanzo di formazione che però coinvolge non solo il protagonista ma anche il lettore. Gli autori, infatti, affrontano tematiche esistenziali come la vita e la morte con la leggerezza dovuta alla formula narrativa scelta, ma al tempo stesso con minuziosa attenzione. Le infinite possibilità che ogni vita racchiude in sé, la bellezza della realtà che ci circonda e la varietà dataci dalla diversità, anche l’indispensabilità della morte, per quanto dolorosa e brutale che sia. Un’opera che invita alla riflessione, dunque, narrando il tutto in maniera naturale e non artificiosa, costruendo una vicenda semplice ma intrigante da seguire corredata da un cast di personaggi variegato e riuscito.

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Dal punto di vista grafico il tratto sottile e nervoso di Deborah Allo riesce a valorizzare il testo di Algozzino sia nella resa ambientale dei vari scenari sia in quella recitativa dei personaggi conferendo grande umanità ai protagonisti splendidamente caratterizzati sotto questo punto di vista. Il layout della tavole è estremamente vario e sempre in cerca della soluzione grafica più adatta alla situazione e dunque non ancorato a schemi fissi; si cerca, inoltre, di eliminare il più possibile la divisione in vignette e i rigidi bordi delle stesse. Ma dove l’artista si esalta di più è nelle numerose splash-page, singole o doppie che siano, talvolta raffiguranti un’unica situazione, in altre scene dinamiche in movimento. In generale, Il piccolo Caronte è un lavoro molto grafico in cui anche l’utilizzo del testo è molto dosato e dilazionato. Non è un caso se a scrivere la sceneggiatura è un autore noto anche per le sue matite.

La colorazione pittorica utilizzata conferisce a dare quel tono fiabesco che la storia ha. Anche in questo caso la varietà dei colori e dei toni è molto varia e ben rappresenta i vari momenti del racconto nonché i vari luoghi: oscura nell’oltretomba, solare e vivace nel mondo reale, in bianco e nero quando c’è la morte di mezzo. La carta lucida utilizzata da Tunué risalta il tutto e risulta fondamentale nell’ottima resa del fumetto impacchettando il tutto in un elegante volume cartonato.

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