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Mike Mignola e Duncan Fegredo realizzano Giant Robot Hellboy

  • Pubblicato in News

Giant Robot Hellboy, un’idea talmente assurda da essere realtà. Mike Mignola e Duncan Fegredo tornano a lavorare insieme per realizzare l’ennesimo progetto legato al mondo di Hellboy, questa volta in versione mecha.

Ispirato ai disegni a matita dell’autore, Mignola: The Quarantine Sketchbook, Giant Robot Hellboy sarà colorato da Dave Stewart e Clem Robins, con cover di Fegredo e variant cover di Mignola e Stewart.

Nella serie limitata di tre numeri, per i tipi della Dark Horse, assisteremo allo scontro tra un Hellboy in versione gigante e alcuni Kaiju. Mignola non era partito con l’idea concreta di creare un progetto grafico ma si era limitato alla sola realizzazione di alcuni schizzi che, negli anni, con il supporto di Fegredo si sono trasformati in una progetto di prossima uscita in USA ad ottobre 2023.

Di seguito le cover diffuse in anteprima.

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Masters of the Universe: Revelation, recensione: l'He-Man di Kevin Smith a fumetti

 Masters of the Universe Revelation

Grazie al colosso streaming Netflix, i Masters of the Universe stanno avendo un nuovo rinascimento. Dalla loro decade d’oro degli anni ’80, i MOTU hanno vissuto diverse vite, revival, retcon, restyling, attraverso nuove serie animate e nuove serie a fumetti, rimanendo nella “nicchia” dei fan.
Netflix, complice il suo gusto per il recupero – basti vedere la serie documentario I giocattoli della nostra infanzia, una cui puntata è dedicata gli eroi della Mattel, ma anche la presenza del cartoon originale nel suo catalogo – sono anni che ha iniziato il recupero del muscoloso eroe dal caschetto biondo e i suoi compagni d’avventura. Se, inizialmente questa operazione è iniziata con il remake di She-Ra principessa del potere, è servito l’intervento del più nerd tra gli sceneggiatori di comics e di cinema (nonché regista e produttore) Kevin Smith per passare allo stadio successivo.
Smith si è sempre detto grandissimo fan tanto dei “pupazzi” del MOTU, quanto della serie a cartone animato prodotta dalla Filmation e dei comics della Marvel allegati alle action figure. Nasce, dunque, il progetto di Masters of the Universe Revelation, una serie animata che fa da seguito a quella originale del 1983.
Ma erano tanti gli anni di storia da dover colmare. I fan, nel 1985, anno dell’ultima puntata del serial animato, avevano lasciato He-Man con un non finale dalla solita formula: una puntata di scazzottate, buoni sentimenti e paternale finale. Ma cosa è accaduto dopo?

Masters of the Universe Revelation 1

Smith, al soggetto insieme Rob David, prima della sconvolgente – almeno per i fan – prima puntata di Revelation mette in piedi una miniserie a fumetti in quattro numeri dal titolo omonimo per la Dark Horse Comics e portata in Italia da Panini Comics.
La storia sceneggiata da Tim Sheridan – anche autore dei testi della serie animata – è fruibile sia prima della visione di Revelation, quanto dopo e racconta un nodo centrale della vita del pianeta Eternia: l’Orlax, un essere cosmico dall’immenso potere, è stato catturato da Skeletor – nemesi per eccellenza di He-Man – e usato tanto come arma, quanto come strumento di precognizione del futuro. Il re di Eternia, Randor, nonché padre del principe Adam (alias He-Man) è stato attaccato da questa creatura e costretto ad uno stato vegetativo. Il campione del castello di Greyskull dovrà scoprire come salvare il padre e fermare i piani di conquista di Skeletor.

Questo incipit può sembrare semplice, ma lo svolgimento del racconto non lo è. Con grande coerenza, Sheridan, mette in piedi un racconto che riprende le atmosfere narrative della serie originale e costruisce un ponte verso quella targata Nerflix. Chi è cresciuto con i MOTU degli anni ’80 può godere appieno, con la maturità e la consapevolezza dell’adulto, il racconto e la stratificazione narrativa dello stesso. Non è un semplice fan service, i personaggi tanto amati vengono esplorati con maggior introspezione nelle loro caratteristiche identitarie: su tutti Skeletor che, in questo fumetto, viene tratteggiato con maggior attenzione anche nella sua subdola malvagità.

Masters of the Universe Revelation 2

Ai disegni c’è l’arte di Mandy Lee. La disegnatrice opera su di una doverosa ma anche difficile scelta, così come per i colori fa il colorista Rico Renzi. Difatti, allineandosi alle scelte narrative del racconto, anche il disegno deve necessariamente porsi a metà tra lo stile classico, muscolare, a linee marcate e quello della nuova serie animata. Per quanto non dissimile nelle scelte grafiche dal cartoon classico, Revelation utilizza un contemporaneo asset per la contemporanea animazione occidentale, citando quella a cui fa riferimento. Lo stesso vale per il disegno della Lee che sceglie linee semplici e pulite ma molto marcate e si concede, per l’appunto, a una sintesi cartoonesca.

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La miniserie Master of The Universe Revelation, dunque, riesce a conquistare i diversi obiettivi che si era posta: un piacere per i fan più accaniti e un grande strumento per chi si sta avvicinando al mondo multimediale dei MOTU; permette tanto la lettura adulta per i personaggi amati da bambino, quanto la lettura leggera da racconto fantasy avventuroso. Ma, indubbiamente è pensato, principalmente – come la serie animata genitrice – per chi ha già dimestichezza con il mondo dei Master: citazioni, riferimenti, approfondimenti e capovolgimenti della materia narrativa depositata in quasi quarant’anni sono un piacere per il fan di questo mondo.
La veste editoriale della Panini è sicuramente ghiotta per il collezionista che si ritroverà tra le mani un cartonato soft touch di grande cura.
Non resta che tornare bambini, ma con gli occhi dell’adulto, e lasciarsi trasportare nel mondo parossistico, contraddittorio ma fortemente iconico e affascinate dei Dominatori dell’Universo per poter leggere e, così, riascoltare con la voce della memoria, il nostro He-Man pronunciare: “A me il potere!”.

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Black Hammer/Justice League - Il Martello della Giustizia, recensione: giocare con gli archetipi

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Quando Black Hammer fece la sua comparsa sugli scaffali dei comic shop nel 2016, fu evidente come il suo creatore Jeff Lemire stesse portando la fiaccola del decostruzionismo e della metatestualità nel fumetto di supereroi contemporaneo. Collocatosi sul solco di classici moderni come il Supreme di Alan Moore e Astro City di Kurt Busiek e Alex Ross, Black Hammer è un fumetto in cui il genere supereroistico riflette su se stesso e sui suoi meccanismi ben conosciuti dal suo autore che è un fan sfegatato del genere stesso. Ne abbiamo parlato più volte in passato, sottolineando come Black Hammer sia prima di tutto un omaggio commosso di Lemire alle sue letture d’infanzia, di cui si avvertono potenti gli echi in ogni vignetta.

Già la vicenda in sé, che racconta di un quintetto di eroi che, impegnati a sventare una crisi dimensionale causata dal malvagio Anti – Dio, scompaiono improvvisamente dalla metropoli Spiral City finendo per essere ritenuti morti, ricorda un evento chiave della storia del fumetto americano come Crisi sulle Terre Infinite. Se nella saga spartiacque della storia della DC Comics gli eroi della Golden Age sacrificatisi durante la battaglia finale contro l’Anti – Monitor sopravvivevano in una sorta di “dimensione tasca”, in Black Hammer gli eroi scomparsi riappaiono nella contea di Rockwood, in una provincia rurale dimenticata da Dio dove i supereroi non sono mai esistiti. L’ambiente campagnolo diventa così il limbo in cui gli eroi si ritrovano esiliati loro malgrado, costringendoli a svestire le calzamaglie per accettare una nuova esistenza agreste, lontana dalla gloria che fu, riservata solo a fulminanti flashback. Memorie di imprese epiche lontane nel tempo in cui il lettore può rintracciare echi delle proprie letture d’infanzia. In questo gioco di riferimenti sparsi, una caccia al tesoro metatestuale che costituisce la cifra stilistica che caratterizza l’opera, i lettori potranno facilmente riconoscere nei protagonisti l’omaggio di Lemire ad alcuni dei personaggi classici della DC Comics: se Abraham Slam si rifà tanto ad Atom e a Wildcat della Justice Society of America, Golden Gail richiama Shazam, Barbalien fa pensare al Martian Manhunter della Justice League, Il Colonnello Weird è un omaggio alle avventure sci-fi di Adam Strange mentre dietro Madame Dragonfly si cela la Madame Xanadu delle testate horror DC degli anni ’70.

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Dopo aver deliziato il lettore con quattro volumi (e numerosi spin-off) pieni di omaggi e strizzate d’occhio al genere supereroistico, il passo successivo compiuto dall’autore è stato quello di ospitare tra le pagine della sua serie, che è un’analisi del genere stesso, i simboli per antonomasia del comicdom, ovvero Superman, Batman e i colleghi della Justice League. Una scommessa azzardata, quella di rendere scoperto il gioco di rimandi per iniziati che ha caratterizzato Black Hammer finora, contaminandolo con le icone reali del fumetto di supereroi, che si rivela però vincente grazie alla verve narrativa di Lemire. Dando per scontato che il lettore conosca i personaggi della sua fortunata opera, l’autore mette in scena un team-up insolito fra i suoi esuli e la Lega più celebre della storia del fumetto, partendo non da un classico incontro ma da uno scambio di ruolo: grazie all’intervento di un misterioso personaggio magico, che sembra poter passare da un universo all’altro senza problemi, i due supergruppi si ritrovano improvvisamente uno nell’habitat dell’altro. Così Abe e i suoi si ritrovano catapultati a Metropolis sostituendo la League durante una dura battaglia contro Starro; intanto, Batman, Superman, Wonder Woman, Cyborg e Flash prendono il loro posto nella quieta contea di Rockwood. Mentre gli esuli di Black Hammer vengono affrontati da Aquaman, Hawkgirl, Martian Manhunter e il resto della Justice League, che li crede responsabili della scomparsa dei loro amici, a Rockwood Bruce, Clark, Diana e gli altri vivono un’esistenza rurale nella loro fattoria dove trascorrono dieci anni, a causa di una bizzarra anomalia temporale. Ma forse le cose non stanno proprio così, e la rivelazione dell’identità del misterioso (ma non troppo) villain porterà la vicenda verso una risoluzione da classico team-up.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia è una deviazione godibile e fracassona dalla narrazione principale dell’epopea citazionista di Lemire, nata dall’ evidente desiderio dell’autore di far incontrare le sue creazioni con molti degli archetipi che li hanno ispirati, vedi i siparietti tra Barbalien e Martian Manhunter, l’incontro tra Madame Xanadu e Zatanna, o quello tra il Colonnello Weird e gli eroi spaziali per eccellenza dell’universo DC, il Corpo delle Lanterne Verdi. Il risultato è quello di un’opera meno centrata della serie principale dal punto di vista del rigore formale e del citazionismo, ma che rimane comunque all’insegna dell’intrattenimento di qualità e della forte cifra autoriale tipica dell’autore.

In assenza del disegnatore titolare di Black Hammer Dean Ormston, l’onere delle matite è affidato a Michael Walsh, autore di provenienza indie che, seppur dotato di un tratto più realistico di quello del collega, riesce a mantenere una continuità stilistica con l’opera principale all’insegna di uno storytelling semplice ma non privo di efficacia, all’insegna dell’anti – spettacolarità. Una scelta insolita per un crossover tra supereroi, che ne denuncia ulteriormente la vocazione autoriale.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia viene presentato da Panini Comics in un pregevole cartonato da libreria, corredato da preziosi extra tra cui le numerose copertine variant dell’edizione statunitense e i bozzetti di Walsh, che si segnala soprattutto per gli ottimi redazionali di Andrea Gagliardi, indispensabili per inquadrare l’opera nel contesto decostruzionista a cui appartiene e per il prezioso approfondimento critico.

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Netflix realizzerà la serie tv di Grendel di Matt Wagner

  • Pubblicato in Screen

Nel 2019, Dark Horse Entertainment ha firmato un accordo con Netflix che ha dato vita a una serie di successo di The Umbrella Academy. Il prossimo progetto in via di sviluppo sarà un adattamento live-action di Grendel di Matt Wagner. Netflix ha annunciato che ha messo in produzione una prima stagione composta da 8 episodi. Abubakr Ali è stato scelto per il ruolo di Hunter Rose, il primo Grendel introdotto nel fumetto.

Wagner ha creato Grendel nel 1982 raccondando l'ascesa al potere di Hunter nel mondo criminale. "Lui cerca di vendicare la morte di un amore perduto. Va in guerra con la malavita di New York, solo per rendersi conto... perché batterli, quando puoi unirti a loro?" Dopo la conclusione della storia di Hunter, l'identità di Grendel è passata ad altri personaggi.

Netflix ha anche condiviso una dichiarazione di Wagner sulla serie:
"Non potrei essere più elettrizzato per la saga di Grendel, una delle serie di fumetti indipendenti più longeve, finalmente tradotta in live-action per lo schermo", ha scritto Wagner. "Sono particolarmente entusiasta di vedere Abubakr Ali portare in vita il personaggio di Grendel/Hunter Rose: ha il carisma, lo stile e la vitalità che ho immaginato nel ruolo per anni".

Oltre a Abubakr Ali nel ruolo da protagonista, la serie vede nel cast Julian Black Antelope come Argent, Madeline Zima come Liz Sparks, Kevin Corrigan come Barry Palumbo, Emma Ho come Stacy Palumbo, Erik Palladino come Teddy Ciccone, Brittany Allen come Annabelle Wright e Andy Mientus nel ruolo di Larry Stohler.

Andrew Dabb (Supernatural) scriverà e dirigerà la serie. Con un cast già completo, le riprese della serie potrebbero iniziare alla fine del 2021 o all'inizio del 2022.

(Via SHH)

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