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America’s Got Powers 1-2

Gli anni 2000 saranno probabilmente ricordati, oltre che per l’avvento di una crisi economica che non accenna ancora oggi ad esaurirsi, anche come l’epoca dei reality show, fenomeno televisivo esploso alla fine degli anni '90 con la prima edizione del Grande Fratello olandese, dal cui format sono stati poi declinati i successivi cugini europei tra cui quello italiano. Parente prossimo del reality è il talent show, nato nel Regno Unito con la serie Got Talent e basato sulla rivalità tra aspiranti artisti, che spesso sfocia in contrasti violenti tra i concorrenti per assicurarsi il maggior numero di ascolti possibile. Il concetto di una società in cui la competizione tra individui scade in uno spettacolo becero e spesso violento, una sorta di darwinismo aggiornato all’epoca dei media, è stato spesso preso a prestito da cinema e letteratura (si pensi alla serie Hunger Games) e addirittura anticipato nel celebre romanzo di Stephen King The Running Man, da cui venne tratto negli anni '80 un bel film con Arnold Schwarzenegger.

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America’s Got Powers di Jonathan Ross e Bryan Hitch si inserisce nel solco tracciato da questi illustri predecessori, immaginando un talent show dove ragazzi dotati di super poteri devono sfidarsi affinché emerga il migliore tra loro. Ross e Hitch, inglesi, ambientano la vicenda negli Stati Uniti, in una immaginaria San Francisco teatro, 17 anni prima, di un singolare evento: un bagliore accecante dal cielo, preludio all’arrivo sulla Terra di una pietra capace di far partorire prematuramente ogni donna incinta nell’area interessata dall’evento e di dotare i nascituri di poteri straordinari. Anni dopo sarà proprio questa generazione di dotati a sfidarsi nell’arena di America’s Got Powers, show creato per sfruttare a fini di intrattenimento le capacità di questi ragazzi: ma dietro le quinte altri interessi, come quelli dell’industria bellica, sono in agguato.

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America’s Got Powers, come il talent da cui prende il nome, è un buon prodotto di intrattenimento, ma non così tanto da lasciare il segno. La sceneggiatura di Jonathan Ross, anchorman della tv britannica che non ha mai fatto mistero della sua passione per i comic book, imbastisce una trama che sarebbe ottima per un blockbuster hollywoodiano, ma che non si segnala per particolare originalità (l’evento che conferisce i poteri fa pensare sia a Rising Stars di J. Micheal Straczynski che al “white event” alla base del New Universe marvelliano degli anni '80). Il topos dell’outsider che scopre di essere il prescelto, poi, è un classico della letteratura e del cinema di genere, da Star Wars a Matrix. L’intento di confezionare una critica della degenerazione dell’intrattenimento televisivo dei nostri tempi, sarebbe anche lodevole, ma non è supportata dalla mancanza di spessore della sceneggiatura: ci sarebbero voluti, tanto per intenderci, i testi caustici e iconoclasti di Mark Millar, che aveva fatto faville con Bryan Hitch sull’ormai classico The Ultimates della Marvel. Nella seconda uscita, che contiene i numeri 2 e 3 della miniserie originali, il mistero della pietra aliena si infittisce cosi come le trame dei militari, determinati a sfruttare i poteri dei ragazzi per fini bellici: ciò nonostante, i testi poco ispirati di Ross non riescono a far decollare America’s Got Powers oltre la dimensione di un pop corn movie estivo piacevole, ma già visto.

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La scarsa brillantezza della sceneggiatura è fortunatamente compensata dal reparto artistico, grazie alle matite di un Bryan Hitch tornato finalmente a buoni livelli, dopo la non felice prova del crossover Age of Ultron: libero da scadenze pressanti e assistito dai suoi due inchiostratori abituali, Andrew Currie (Ultimates) e Paul Neary (The Authority), Hitch torna a realizzare tavole spettacolari e dettagliate (l’arrivo di Tommy all’interno dello stadio, le battaglie nell’arena). Non siamo ai livelli delle matite di Authority e Ultimates, realizzate con spettacolare uso di tavole orizzontali a mimare lo schermo cinematografico (e per le quali è stato coniato il termine widescreen comics), ma il risultato è comunque più che apprezzabile. Panini Comics sceglie di serializzare l’opera in 4 albi prestige da 48 pagine, con una carta patinata che valorizza al meglio i colori del veterano Paul Mounts.
Prime due uscite tra luci ed ombre per la serie di Ross & Hitch, dalla quale era lecito aspettarsi qualcosa di più.

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