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Andrea Fiamma

Andrea Fiamma

Pixar: Gli Incredibili 2 e Cars 3 si faranno

  • Pubblicato in Toon

/Film riporta che la Pixar sta sviluppando i sequel per Gli Incredibili e Cars (in quest'ultimo caso trattasi di terzo episodio). Lo ha annunciato il CEO Bob Iger durante l'incontro con gli investitori.

Iger ha dichiarato che Brad Bird sta lavorando sulla sceneggiatura; l'uscita del film, in ogni caso, è prevista non prima del 2018, visti gli impegni del regista su Tomorrowland e il lungo processo di realizzazione delle opere animate. La recente notizia della conversione in 3D del film ora acquista un senso - un po' meno quella di Ratatouille, all'epoca elogiato dalla critica ma non in grado di sbancare i botteghini.

Di Cars 3 ne avevamo già parlato: la trama dovrebbe vedere i personaggio tornare sui territori statunitensi e, in particolare, sulla Route 99, storica autostrada californiana.

40 anni di Lupo Alberto: intervista a Piero Lusso

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la-lussoPiero Lusso è una delle colonne portanti di Lupo Alberto. Sceneggiatore, grafio e illustratore, Lusso ha, come gran parte degli sceneggiatori assoldati da Silver, iniziato a scrivere su Cattivik, per poi passare a imbastire le trame del Lupastro, attività che lo tiene occupato tuttora e che gli ha permesso di scrivere alcune delle storie più importanti e apprezzate del mensile McK.

Nella conversazione per i 40 anni del Lupo, Lusso ci ha svelato i meccanismi narrativi che si celano dietro alle storie, il suo rapporto con il personaggio e il futuro del medium fumetto.

Hai iniziato a scrivere per Lupo Alberto per vie traverse, grazie alla serie tv. Che esperienza è stata? E cosa ti ha fatto decidere di restare nel mondo del personaggio?

Galeotta fu certamente la serie tv, ma in un certo senso il mio destino era già segnato. Da tempo Silver insisteva perché in aggiunta a Cattivik, che scrivevo con grande passione da un quinquennio, mi cimentassi anche col più raffinato Lupo Alberto. Credo che in ciò che scrivevo avesse già intravisto un umorismo adatto al mood della fattoria, ma è possibile che invece fosse preoccupato per la deriva dadaista che sembravo aver intrapreso e tentasse di salvarmi da una precoce follia.
Sta di fatto che nel ‘98 avevo da tempo intrapreso uno studio matto e disperatissimo della sua creatura, anche se ancora tardavo a prenderne le redini, forse intimidito da un personaggio tanto leggendario, e tergiversavo in una prolungata fase preparatoria che la medicina definisce ansia da prestazione. Silver ruppe gli indugi e mi fece, come si dice, un’offerta che non potevo rifiutare, quella di entrare a far parte nel team di scrittura della serie tv avviata di recente dalla Rai, alla quale lavorava già Artibani con altri sceneggiatori della produzione. Dopo essermi consultato con le mie personalità multiple, accettai come un sol uomo.
Mi tuffai nella nuova avventura con uno spirito che oggi definiremmo renziano ma allora si chiamava ancora incoscienza, cercando di imparare in fretta come adattare l’universo silveriano dei fumetti alla scrittura cinematografica, a utilizzare con cognizione il linguaggio dei cartoon e a consegnare in tempo, tutte cose alle quali non ero avvezzo. Alla fine di quel periodo vorticoso, paragonabile solo a un addestramento dei marines, ero provato nel fisico ma rafforzato nello spirito, e avevo miracolosamente realizzato oltre venti episodi della serie. Un’esperienza sul campo che si è rivelata preziosa nella serie successiva e in quella di Cattivik di qualche anno dopo. Ricordo sempre volentieri quel periodo eroico e l’atmosfera allegra e frenetica dei ragazzi di Animation Band. Il mondo dei cartoon è divertente e appassionante, spesso mi riprometto di riprendere i contatti e tornare a collaborare in quel settore.
Tra questa prima serie e la successiva - che è stata meno turbolenta e più creativa - nel 2000 ho iniziato a collaborare alla serie regolare a fumetti, e da allora non ho più smesso, perché – forse non l’ho detto – lavorare al Lupo mi piace moltissimo.

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Hai scritto moltissimo per Lupo Alberto e una delle storie più apprezzate, nonché quella con il finale più ambiguo, resta Natale senza te; in precedenza hai raccontato che la storia originale era diversa e più triste. In cosa consisteva?
Toh, e io che credevo che questo oscuro retroscena fosse segreto. L’intelligence di Comicus dev’essere agguerrita...
Non sto a raccontare quanto “Natale senza te” sia stata faticosa emotivamente, perché so che la figura dell’artista dannato e sofferente non fa simpatia. Dico solo che l’ho partorita con dolore e realizzata con sudore.
Quello che ne è scaturito è stata una versione molto simile dalla definitiva. Conteneva gli stessi elementi, lo stesso equilibrio tra dramma e umorismo, i sogni, le disillusioni e i siparietti comici, anche se collocati all’interno di un percorso che attraversava le fasi del lutto di Marta dal ritmo monocromo e terminava con la resa definitiva - la scena commentata dalla canzone di Battiato - che chiudeva la storia. Una what if intimista, senza indulgenze e senza consolazione. Peccato che fosse praticamente impubblicabile.
La serialità impone degli obblighi, e una storia di questo tipo poteva forse funzionare come spin-off all’interno di una collana, o su un albo autonomo, ma collocata come storia unica nel mensile avrebbe suscitato inutile scalpore e inutili domande sul futuro del lupo, tutto il contrario delle mie intenzioni.
Avevo valutato varie ipotesi. Inserire alla fine della storia un disclaimer sulla falsariga di certe vecchie storie di Superman dove il supereroe moriva ma una didascalia finale rassicurava il lettore che “questa storia non è mai avvenuta”? Bocciata. Un disclaimer iniziale? Bocciata. Avvertire il lettore nelle note redazionali? Bocciata.
Senza una soluzione che garantisse l’integrità della storia, ero disposto a rinunciare, per cui l’avevo chiusa in un cassetto a decantare, avevo preso tempo per ragionare a mente fredda, e mi ero dedicato ad altro.
Un po’ di tempo dopo, come se alcuni neuroni avessero trovato improvvisamente il loro posto, l’idea è balenata, generata da uno quei collegamenti mentali misteriosi che non sto a raccontare, perché so che l’immagine dell’autore dannato e ispirato non fa simpatia.
Ho ripreso in mano la storia, l’ho smontata e rimontata, ho riscritto alcune parti, costruito la drammaturgia intorno ai sogni di Marta (ispirata da Apri gli occhi di Alejandro Amenábar) e creato quel finto finale consolatorio a diversi livello di lettura con un’ultima scena che rovescia tutto proiettando la vicenda in una dimensione post mortem ancora più inquietante. Alla faccia di chi critica il fumetto popolare. Aggiungo che questa storia si inserisce perfettamente nella tradizione di storie natalizie deprimenti, cifra stilistica di cui sono molto fiero.

I meccanismi dietro la creazione di una storia per personaggi seriali sono spesso radicalmente diversi da quelli una tantum, qual è il tuo processo? Come arrivi a un'idea e come procedi per svilupparla in un prodotto finito?
Ho già risposto nella domanda precedente, quindi eviterò di ripetermi perché so bene che la figura dell’artista dannato e ossessivo-compulsivo-ripetitivo non fa simpatia.
Nel tempo mi sono trasformato in una specie di aspiratutto ruminante che risucchia idee, brandelli di conversazione, situazioni vissute o apprese, dettagli, titoli di giornale, libri, film, musica, e poi incamera, seleziona, mescola e rielabora in una forma narrativa. Dei tanti spunti, so che alcuni abortiranno, altri prenderanno vicoli ciechi, ma qualcuno si legherà ad altri creando ibridi interessanti su cui lavorare. I processi che portano alla storia finita sono tanti a variegati e non hanno una regole precise. Ci sono idee in cui mi tuffo con baldanza e sicurezza e altre che tengo quasi a distanza, edifico a poco a poco e con delicatezza, quasi per timore di sfaldarle. Ci sono state storie nate da una battuta sentita alla radio e altre che sono cresciute per sedimentazione di tante piccole aggiunte, altre che hanno preso forma nel tempo e a un certo punto sono arrivate a maturazione dopo mesi, se non anni. Storie come “La Ballata dei McKenzie”, sono partite con un intento e una direzione stabilita, ma poi, lungo il percorso, hanno cambiato senso, deviate da dettagli che sono diventati risolutivi. Quando ho iniziato a lavorare al soggetto, l’idea iniziale era di scrivere una storia in epoca vittoriana vagamente dickensiana, piena di pathos, sentimento e avventura. Durante la documentazione però alcuni aspetti hanno iniziato a deviare la mia l’attenzione: certe somiglianze tra la selvaggia rivoluzione industriale del tempo e il neoliberismo selvaggio di oggi, l’ipocrisia puritana e l’iniquità sociale, e tanto altro. A quelle suggestioni si sono intersecati gli echi della grottesca situazione politica italiana del momento, e così la saga è declinata in una dimensione metaforica e satirica, cambiando struttura e obiettivi in corso d’opera.
A volte sono le caratteristiche dei personaggi e le loro interazioni a costruire le storie – vedi la saga di Mosè con la barboncina. A volte spunti banali riescono ad adattarsi perfettamente ai personaggi., come in Morto di fama, titolo di un giornale di gossip letto dal barbiere a cui è stato immediato collegare la figura di Alfredo, personaggio McKenzie di secondo piano per eccellenza. Quando sono tornato dal barbiere avevo metà dei capelli e tutta la storia in testa.
Mi rendo conto per potrei scrivere altri 5-60.000 caratteri su questa domanda, e anche se il web è virtualmente infinito, sono conscio che la figura dell’artista multimediale dannato e logorroico non fa simpatia.

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Le storie che hai scritto vanno da cose come L'alta marea, una trasferta in salsa felliniana, ad avventure sperimentali o più convenzionali. Dialoghi con Silver o hai un certo grado di indipendenza nell'ideazione delle trame?
Cerco sempre di mantenere un certo equilibrio tra le tipologie di storie, sapendo che il pubblico di riferimento del lupo è vario e eterogeneo e tengo a bada la mia passione per le architetture narrative complesse e i temi controversi, perché so che non dev’essere una costante, ma in tutte le storie, anche le più mainstream cerco sempre di inserire qualche piccolo valore aggiunto. Credo di conoscere abbastanza bene l’universo silveriano da sapere fino a dove spingermi e in che percentuale osare, nonostante l’indipendenza creativa sul lupo sia massima. Il rapporto con Silver è costante: non c’è sceneggiatura che non venga preventivamente approvata, discussa ed eventualmente aggiustata insieme a lui, e non è raro che un soggetto debole, dopo alle sue osservazioni diventi una storia importante. Come in Estinto di santo o Pace in Terra spesse volte gli spunti arrivano direttamente dal Luccicante, magari all’interno di una chiacchierata informale o a cena, perché negli anni, aumentando la conoscenza e la fiducia, il nostro confronto si è sviluppato in modi anche meno formali.

Hai esordito, sotto pseudonimo, sul Male, poi Totem. Sono tutte esperienze che un giovane fumettista di oggi non può avere. Come credi sia cambiato la modalità di approccio al fumetto, specie quello satirico o umoristico, per gli esordienti e in generale per gli aspiranti autori?
Benché ne sia affezionato, Il Male e Totem non sono state altro che delle piacevoli comparsate che non hanno avuto seguito. Il vero esordio è stato quello del 1993, quando, incoraggiato da Sommacal, presentai a Silver la mia prima sceneggiatura di Cattivik (Yeti, che noia mortale!) e tutto iniziò. Erano anni in cui il fumetto comico era più vivace di oggi - anche grazie alle pubblicazioni targate Silver - ma non era certo ai suoi massimi, e a pensarci credo che noi del Lupo siamo stati anche fortunati. Panini-Disney a parte, credo che oggi ci sia ben poco per un’esordiente nel settore umoristico, a meno di voler tentare la carta autorale, e penso che ormai il web sia imprescindibile, il successo di Makkox e ZeroCalcare, per quanto fuori dall’ordinario, sta a dimostrarlo. Credo eh.

Come ti frego il Lupo: la vera storia dell’opuscolo che fece scandalo

  • Pubblicato in Focus

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lupo alberto virusAll’interno del panorama fumettistico italiano, lo sfruttamento collaterale della proprietà “Lupo Alberto” non ha paragoni. Non parliamo delle spille o delle magliette che qualsiasi fumetto col pollice opponibile può ambire a desiderare, qui si va dal salvadanaio alle babbucce senza neanche passare dal via. Quale fumetto italiano può vantare un diario o delle caramelle col proprio nome sopra?
È un fattore che non va sottovalutato: è anche attraverso questi mezzi che passa il radicamento culturale di un’opera, un’impresa che sarà anche avulsa dal fumetto di per sé ma che riesce a pochi. Provate a chiedere in giro il DVD della serie di Rat-Man. Otterrete in cambio diniego, rassegnazione o nausea, alla meglio.
Ma lo sfruttamento, che tale non è o lo è nel suo senso più tecnico, non si limita al merchandising: Lupo Alberto è da sempre attivo sostenitore di iniziative a carattere cultural-pedagogico grazie alle svariate campagne che hanno potuto utilizzare il suo volto per diffondere messaggi di civiltà o informativi: la narcolessia, il telefono azzurro, il diritto agli studi, financo l’ambientalismo e l’appoggio ai pannelli fotovoltaici. E l’AIDS, con il celebre opuscolo Come ti frego il virus!.
Proprio attorno alla partecipazione del personaggio in una campagna atta ad aumentare la consapevolezza dei giovani si concentrarono le cronaca giornalistiche di inizio anni novanta. La ricostruzione della vicenda attraverso i quotidiani dell’epoca si fa tortuosa e piena di contraddizioni, configurandosi come una storia tutta italiana sulla mancanza di cooperazione governativa e scarsa comunicazione interna. Non è una di quelle storie con i buoni da una parte e cattivi dall’altra. Dietro ai titoli sensazionalistici stampati a caratteri cubitali si nascondono linee di pensiero sfumate e mai così distanti da una semplice distinzione manichea. Ho chiesto aiuto a Vincenzo Perrone, l’autore dei testi, che ha completato i pezzi di un puzzle quantomeno complesso.

lupo alberto virus 2All’inizio degli anni novanta, nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione sull’argomento, la Commissione Nazionale e il ministero della Sanità (ora Salute), guidato da Francesco De Lorenzo, commissionarono a Silver un opuscolo informativo sull’AIDS e sulla sua prevenzione da distribuire nei luoghi di ritrovo giovanile (discoteche, locali, palestre), partendo da un’idea di Rita La Rocca (fondamentale fu anche l'aiuto di Maria Novella Cordone, in grado di convincere la commissione ad adottare il Lupo come testimonial). I testi vennero scritti da Perrone, che non ricevette alcun compenso, mentre Silver si prestò per illustrare il progetto, facendosi pagare dieci milioni di lire, devoluti in beneficenza a due centri per la ricerca sulla sindrome (uno a Roma e uno a Napoli). Come ti frego il virus! fu il risultato dei loro sforzi. Stampato in un numero di copie che passò dalle iniziali trecentomila alle oltre sei milioni (tra ristampe e pubblicazioni, autorizzate e non, su riviste come il Venerdì di Repubblica), viene presentato ufficialmente il 30 novembre alla discoteca romana Alien e da subito elogiato per il tono con cui era riuscito ad affrontare la questione.
E qui entra in gioco il secondo peso massimo, l’allora ministero della Pubblica Istruzione, con a capo Riccardo Misasi, il quale fece sapere che Come ti frego il virus! non rispettava i criteri fissati dal dicastero in termini di educazione sessuale e che qualsiasi materiale inviato alle scuole doveva prima essere vagliato per favorire “un'utilizzazione adeguata alla cultura dei giovani", impedendone la circolazione negli edifici scolastici. “Ma alla riunione Lauria c’era” replicò De Lorenzo, coadiuvato da Elio Guzzanti, membro della commissione che aveva presieduto la creazione del vademecum: "Figuriamoci se veniva varata un'iniziativa senza il placet della Pubblica Istruzione. Da anni abbiamo avviato un paziente lavoro per raggiungere una perfetta simbiosi". Simbiosi che da qualche parte doveva essersi corrotta, se De Lorenzo di fronte ai giornalisti balbettò un vago “Ne chiederò conto a Misasi".
Per arrivare nelle scuole, infatti, l’opuscolo aveva bisogno del via libera di Misasi. E sui documenti mancava la sua firma. De Lorenzo, a questo punto, sbotta. “Per colpa di una firma mancante? Assurdo. La Sanità si impegna nella prevenzione e chi frena? Un altro ministero? Forse le cause sono altre, più concrete, tabù inviolabili anche se non dichiarati”.
Il perché avrebbe dovuto dichiarare ciò se il libretto non era stato progettato per le scuole non è dato saperlo. La questione a ogni modo si sopì, venne effettuata una prima distribuzione (non nelle scuole, però, dove vi finì per vie traverse) che riscosse un buon feedback. Poi Corriere della sera e Repubblica raccontarono che quegli stessi inviolabili tabù di cui parlava De Lorenzo condussero Rosa Russo Iervolino, succeduta nel frattempo a Misasi, a diffondere una circolare molto dura in cui si reprimeva l’uso dell’opuscolo (“Non è mai esistita una circolare del genere” avrà da dire la donna a vicenda conclusa). Cresciuta nell’humus DC, Iervolino era, giocoforza, succube delle imposizioni ecclesiastiche ma soprattutto una democristiana tra i democristiani: racconti di segreteria riportano che, ai tempi del referendum per il divorzio, fosse “più schierata dei vertici del partito”. Non stupisce quindi che l’argomento della prevenzione tramite profilattico fosse quantomeno sconveniente da affrontare in sede istituzionale.

lupo alberto virus 1Eppure, nonostante i resoconti giornalistici, il nodo gordiano non fu il preservativo (o, meglio, lo fu solo in parte), né tantomeno l’indefessa linfa DC che scorreva nelle vene di Iervolino, bensì un aspetto di natura più pratica: Come ti frego il virus! non era mai stato ufficialmente previsto per le scuole e tutto farebbe pensare che le azioni di Iervolino fossero una maniera un po’ goffa di battere i pugni sul tavolo, rivendicare un potere che si vedeva travalicato e far sentire la propria voce.
Certo, la presenza del preservativo doveva aver turbato il ministro, la stampa cattolica (l’Avvenire, con trasognante coerenza, invocò il principio di castità e fedeltà da contrapporsi all’uso del contraccettivo) e più di un membro della commissione; lo stesso De Lorenzo viene dipinto da Perrone come un uomo vecchio stampo: “La parola preservativo lo faceva arrossire, letteralmente”, ma il motivo fondamentale per cui l’opuscolo era malvisto nelle aule scolastiche era perché nelle scuole quell’opuscolo non ci doveva finire. Lo conferma lo stesso Perrone: “L’opuscolo ci venne esplicitamente richiesto ‘per la prevenzione primaria, destinata a soggetti sessualmente attivi’. La richiesta non prevedeva in alcun modo la distribuzione nelle scuole. Perché, cito a memoria, la scuola pubblica non può in alcun modo dare per scontato che i propri iscritti (parliamo di medie superiore, quindi tra i 14 e i 19 anni) abbiano tutti una attività sessuale. Distribuire un opuscolo in cui si dia per scontato l’esistenza di una sessualità attiva, avrebbe significato rendere “diversi” chi invece, per indole propria, timidezze o altro fosse ancora in attesa della prima volta”. Perrone smentisce dunque i giornali che all’epoca additavano la menzione del profilattico come causa scatenante per il veto della Iervolino. “La preoccupazione vera era quella di non creare difficoltà a chi non faceva sesso. Parliamoci chiaro. C’era una parte, potente ma minoritaria all’interno delle commissioni, che del preservativo non ne voleva proprio sentire parlare. Questa parte riuscì ad averla vinta solo perché l’opuscolo conteneva quello che possiamo chiamare un peccato originale”. A testimonianza del fatto che l’opuscolo era stato pensato per lettori e contesti diversi c’è il comunicato stampa del governo, che non cita gli istituti e le scuole come luogo-obiettivo. “Di fatto, se mi fosse stato commissionato un opuscolo destinato alle scuole, lo avrei scritto in modo totalmente diverso, almeno in alcune sue parti” conferma Perrone. “Detto in altre parole: la Iervolino aveva ragione. L’opuscolo non era adatto per le scuole”.

Ai giovani le motivazioni della censura non sembrarono comunque interessare: partono i sit-in, le manifestazioni pro-Lupo Alberto, le proteste; la domanda per l’opuscolo crebbe a tal punto che il governo istituisce un numero verde per richiederne delle copie. Il professor Fernando Aiuti organizzò perfino una lezione plenaria nell’istituto romano San Giovanni Evangelista (una scuola fondata dai preti, per dire l’ironia) usando il libretto come testo unico.
Silver, tirato in ballo dai talk show di Ferrara, Santoro e Costanzo, rifiutò di andarci per evitare di essere un mero picco di audience tra una pubblicità e l’altra, ma lamentò sui giornali tanto le critiche della Iervolino quanto l’indifferenza di De Lorenzo che, “quasi in trance, tre telefonini per volta, con conversazioni troncate di brutto e codazzo di portaborse", dovette in seguito dimettersi a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta di Tangentopoli: “[Iervolino] esprime una mentalità bigotta diffusa e radicata. Dall'altra parte, però, non c'è stato il minimo accenno di difesa, non è venuta una sola parola di solidarietà, nemmeno da un sottosegretario: m'è parso d'essere il capro espiatorio di altri guai". Le parole di Perrone mostrano bene le contraddizioni interne all’essere umano: se da una parte De Lorenzo finì in baruffe con lo stato che si sono trascinate fino al 2012, dall’altra ebbe il merito di comprendere l’importanza del messaggio, nonostante non fosse nella sua cultura, e di approvarlo.

lupo alberto virus 3Allo stesso modo, la vicenda per il Lupo ebbe risvolti dolceamari: la bagarre sollevò le vendite della testata ma infangò l’immagine del personaggio e del suo autore; gli incontri con Silver nelle scuole vennero boicottati e i negozianti rimossero il materiale da cartoleria griffato Lupo Albero dalle vetrine.
Forse perché messo di fronte a un concorso di colpa o alla gogna mediatica, il dicastero si vide costretto a cedere. Tra uscite spiacevoli ("La scuola non è una palestra per la diffusione di opuscoli dietro i quali si possono nascondere operazioni economiche") e un’interrogazione parlamentare, portata avanti da cinque senatrici del PDS ai danni di Iervolino (alla luce dell’intero contesto, una mossa più populista che altro), si fece marcia indietro: decidano i presidi e gli organi collegiali se il messaggio risulta adeguato o meno ai loro alunni. “Ricordo però che quel libretto” precisò Iervolino “ha una scarsa valenza educativa, è una barzelletta”. In alcuni articoli dell’epoca il ministero comunicò che un piano di educazione sessuale per le scuole era già in cantiere, con regole e criteri interni all’apparato. Tuttavia la lentezza burocratica o, più semplicemente, l’assenza di un’idea forte su come strutturare l’argomento, fecero dell’opuscolo del Lupo il veicolo di diffusione più incisivo: “Poiché nessuno si voleva prendere la responsabilità di una campagna informativa da svolgersi negli istituti scolastici, il libretto divenne meglio che niente” dice ancora Perrone “e soprattutto uno strumento efficacissimo per sdoganare il preservativo”. Proprio quel “meglio che niente” venne cavalcato dal ministero perché il numero di copie, arrivato tra ristampe e ridistribuzioni a sei milioni, indica che evidentemente l’opuscolo non sarebbe stato distribuito solo nelle discoteche. Secondo Perrone “è evidente che qualcuno deve aver pensato che non sarebbero tutte andate nelle discoteche. Non ne ho le prove, ma presumo che qualcuno abbia deciso di forzare la mano. E direi che ha fatto bene”.

Nel caos della disinformazione si tende a dimenticare o a sottovalutare l’importanza dell’opuscolo di Perrone e Silver, che ebbe il merito di introdurre grazie a un linguaggio informale e ironico un dialogo sull’uso del preservativo, fino ad allora associato alla prostituzione, a un sesso vissuto come sporco e indegno piuttosto che a un’idea di prevenzione e salute. Subito dopo i fatti, Perrone inviò a Repubblica e Cuore, il periodico satirico di Michele Serra, una lettera in cui ricostruiva l’intera vicenda, ma l’onda di Tangentopoli si era ormai infranta con furia cieca sulla stampa italiana e la storia venne ignorata. 
Al netto delle polemiche, delle critiche e delle accuse, Come ti frego il virus! entrò al primo posto nella classifica delle iniziative ministeriali per grado di memoria e attecchimento del messaggio. In poche parole, un esempio antesignano dell’effetto Streisand, quel fenomeno per cui più si tenta di censurare o bloccare qualcosa più quel qualcosa diventerà estremamente popolare e susciterà la curiosità di quelli che, prima del veto imposto, nemmeno erano a conoscenza della sua esistenza. Il nome si deve a Barbara Streisand, la quale tentò di far rimuovere dall’internet una foto della sua villa perché riteneva ledesse la privacy. Nel caso di Lupo Alberto fu un effetto che, per una volta tanto, ha avuto uno scopo un po’ più nobile del non far sapere di che colore sono i muri di casa nostra.

Pixar: Gli Incredibili e Ratatouille in 3D

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Josh Hollander, attualmente al lavoro sul 3D di Inside Out di Pete Docter, ha dichiarato a Screen Daily che la Pixar sta lavorando a versioni 3D di alcuni suoi film: "Stiamo lavorando su Gli Incredibili, che è molto divertente in 3D. Non so sicuro di quale sarà la strategia di distribuzione. È stata una sfida interessante lavorare con quel tipo di tecnologia perché - anche se il film è uscito dieci anni fa - la tecnologia è ancora più vecchia visto che il film è stato in lavorazione per quattro anni".

Hollander ha anche rivelato che l'altro film Pixar firmato da Brad Bird è stato rimasterizzato in 3D: "Abbiamo pronta una versione di Ratatouille che funziona molto bene in 3D e stiamo cercando di stabilire una data d'uscita".

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