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Emanuele Amato

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Ryuko 2, recensione: Le vie della vendetta

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Secondo e conclusivo volume di Ryuko, del mangaka e scultore Eldo Yoshimizu, edito in Italia da Bao Publishing. Se il primo volume introduceva uno scenario ampio e variegato di personaggi, così da intessere diverse realtà criminali, ognuna col proprio codice d’onore e ciascuno con la propria moralità più o meno sfumata, in questo secondo albo il tutto si restringe alla protagonista Ryuko. Attenzione però, i personaggi intorno restano comunque fondamentali per la narrazione, ma il racconto corale qui si oscura, accendendo a pieno regime i riflettori sulla boss. Una scelta saggia in quanto ci sarebbe stata troppa carne al fuoco e due volumi sarebbero stati troppo pochi in quel caso per approfondire tutto nella maniera corretta. I salti temporali sono ridotti al minimo, questo albo è più lineare rispetto al precedente, cosa che gli dona molta compattezza. Si nota la maggior maturità di Yoshimizu con lo storytelling, meno precipitoso e più consapevole, e le soluzioni ultra-dinamiche, al limite della comprensibilità a volte, sono decisamente minori e calibrate meglio.

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La storia prosegue con la ricerca di Ryuko di sua madre che la porterà a scottanti verità e macchinazioni da parte di organizzazioni sempre più potenti e pericolose. L’attenzione del lettore, quindi, si concentra quasi esclusivamente su Ryuko. La donna infatti apprende che il suo destino è quello di diventare la nuova Longtou, ovvero l’imperatrice della più pericolosa organizzazione malavitosa cinese: HeiHua. I requisiti necessari sono 2: possedere il sigillo d’oro e aver ucciso il proprio padre. Questi due elementi danno la possibilità di divenire praticamente la persona più influente al mondo e Ryuko li possiede entrambi.

Essere la Longtou comporta uno smisurato potere, garantendo alla donna una forza militare senza paragoni, oltre a 10 milioni di sottoposti pronti a morire per lei. Insomma, diverrebbe la persona capace di definire e ridefinire in modo decisivo la politica mondiale con un solo cenno della testa. Ovviamente, c’è un problema: un’altra candidata, Tsu Suto. Una studentessa universitaria, all’apparenza tranquilla, che è a capo di un’altra organizzazione malavitosa: la Japinchan.

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L’aspetto più interessante di questo secondo volume è l’approfondimento, appunto, su Ryuko. La caratterizzazione è sfaccettata e realistica la protagonista non viene dipinta solo come un’assassina fredda e brutale, ma anche come donna capace di compassione e alla ricerca di perdono per aver ammazzato il padre. Un personaggio che si rifiuta di subire in maniera passiva gli avvenimenti e che è sempre in grado di reagire, in un modo o nell’altro. Yoshimizu affronta un tratto della donna che non era fuoriuscito in precedenza, quello più intimo ed emotivo. Se da un lato è possibile vedere la sua fragilità, in alcuni momenti topici del racconto, dall’altro vediamo anche quello di donna che ama. Il momento più toccante di tutto l’albo - e forse dell’intero fumetto - è sicuramente il ricongiungimento con la madre Shoryuhi, scomparsa da anni.

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Come già accennato, alcuni nei che caratterizzavano il primo volume sono stati ora smussati. Gli eccessi di dinamicità di alcune inquadrature uniti a un tratto molto sporco, rendevano difficile la lettura di alcune tavole. Le parti molto adrenaliniche restano comunque interessanti e, fortunatamente, viene pulito un po’ di più il tratto, evidenziando in maniera più efficace la scena. Il vero punto forte di Yoshimizu, però, restano le tavole con uno stile più morbido dove sottolinea la sua bravura nei corpi femminili affusolati.
Degna conclusione, insomma, per un manga che ha omaggiato il genere Gekiga in modo fresco e non ostentato.

Aki, recensione: Il Valtiel vi accompagnerà in un incubo senza fine tra blasfemie e rituali antichi

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Cercare di dare un senso logico, razionale, a un incubo è profondamente sbagliato e controproduttivo. Si interpreterebbe in modi totalmente erronei e si perderebbe il fulcro della simbologia. Ci sono sempre, ovviamente, sensi e significati nascosti, questi però non possono essere colti con la ragione. Questo è il caso di Aki, prima opera di Francesco Tatoli, edita da Edizioni Inkiostro. Tatoli sforna una visionaria storia dell’orrore, dai tratti metafisici.

L’albo, tecnicamente, è una storia lineare che accompagna il lettore, nell’abisso del terrore, rendendolo partecipe, di un rituale antico: la venuta di un nuovo Dio. Nuovo, si fa per dire. L’autore prende a piene mani da mitologia e folklore dell’Indonesia, dove l’antica religione Suma – Jumano si mescolò con quella cristiana, nel periodo della colonizzazione. Da qui, Tatoli, ricostruisce l’avvento di un Dio, per mano del ValtielAki, protagonista del libro. Valtiel, come termine, non ci è nuovo. Basti pensare a Silent Hill, dove questo essere, accompagnava Heater e la resuscitava in caso di morte. Insomma, un valletto, servitore, che serviva appunto ad uno scopo. Lo steso Xuchilbara è menzionato, sia nel famoso videogioco che nella narrazione di Tatoli. Date queste premesse, trovare una logica razionale ad una storia simili, sarebbe da pazzi. In quel caso, “l’orizzonte di attese” del lettore, quindi la sua predisposizione psicologica verso l’opera, sarebbe demolita dopo poche pagine.

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Aki, inizia in maniera tradizionale con una tipica scena horror anni 80. Situazione: una coppia si trova nella propria casa, di notte, e sente un rumore. L’uomo scende a controllare e si ritrova immerso in un incubo oscuro e nero come la pece. Questo è il punto di partenza che fino a metà albo resta abbastanza realistico, per poi addentrarsi in meandri surreali. Se nella prima parte lo splatter e il sangue, ne fanno da padrona, nella seconda invece è una paura diversa, un terrore metafisico e oscuro. Dove il sangue è fondamentale ma viene relegato a concetto più che alla sua spettacolarizzazione.

La sceneggiatura di Tatoli quindi risulta estremamente complessa, per quanto non faccia salti temporali. Lineare certo, ma decisamente ostica. Anche un lettore appassionato di horror troverebbe difficile seguire passo passo senza mai tornare indietro con le pagine. Non è, come può sembrare, qualcosa di negativo. Non manca di profondità e tecnicamente non ha errori. Il tutto sta nella sensibilità, nella conoscenza e nell’attenzione di chi legge. Sicuramente, una sola lettura non basta per apprezzare appieno l’opera. Ci sono tanti simbolismi nascosti che solo con successive riprese emergono. Tatoli su questo è stato molto furbo, oltre che estremamente bravo. Come opera prima, avere una gestione così, non è da tutti.

Per quanto riguarda lo stile dei disegni, l’autore opta per una tecnica fotorealistica con bilanciamenti di neri e bianchi del tutto disturbanti. Altri punti sembrano incisioni xilografiche cariche di blasfemie sacrali. Questa scelta stilistica, unita alla sottolineatura di inquadrature volutamente sconcertanti, amplifica i dettagli raccapriccianti, soprattutto nelle sequenze, frequenti, con implicazioni sessuali. L’impostazione di tavola, invece, è tradizionale. Ci si potrebbe aspettare da un fumetto estremo per comprensione, contenuto e tecnica stilistica, una struttura più libera, invece Tatoli usa come base la classica griglia italiana. Utilizzo di quadruple, splash page e, qualche volta, soluzioni più particolari, ma nulla di estremo. Sotto alcuni punti di vista, questo metodo rende il tutto ancora più angosciante, magari, soluzioni più estreme avrebbero fatto perdere ancora di più il lettore, in una storia già estremamente complessa. Quindi, molto probabilmente è stata la scelta più saggia.

Edizioni Inkiostro porta nel suo catalogo un prodotto interessante e con tutte le caratteristiche disturbanti e provocatorie che contraddistinguono la cada editrice di Teramo. L’edizione cartonata è molto elegante, nera, semplice e senza fronzoli. Qualche refuso interno sarebbe da rivedere. Per il resto non si può dire nulla.

Progetto Stigma, intervista ad AkaB e Marco Galli: I folli stanno entrando nelle nostre menti

Abbiamo già parlato diverse volte del Progetto Stigma e, questa volta, abbiamo incontrato da vicino il fondatore e curatore del progetto, AkaB e Marco Galli, autore della prima uscita dell’etichetta, sviscerando quello che riteniamo fra i fenomeni editoriali dell’anno. In prevendita, attualmente, il terzo volume Perso nel bosco, di Dario Panzeri.

Il primo volume di un’etichetta, collettivo e casa editrice è sempre un salto nel vuoto. La scelta del primo titolo è il biglietto da visita e preludio di ciò che ci aspetteremo. Come avete scelto proprio Èpos?

AkaB: Devo ricordarmi, dato che voglio dirti la dinamica esatta. Esternare la verità, precisa.
 
Marco: Lui sapeva che avevo dei libri già pronti. Quindi, in parte, può essere stata una questione di comodità. AkaB lo aveva già letto mentre ci lavoravo. Quindi conosceva l’opera.

AkaB: Nacque tutto perché, di punto in bianco, ho detto facciamo questa cosa. Lui aveva già il prodotto finito quindi era ideale. Alcuni avevano progetti in lavorazione, altri da editare e controllare. Questo di Marco invece già era pronto praticamente. Subito dopo è arrivato quello di Squaz che uscirà l’anno prossimo. Poi voglio comunque dire che Marco è uno degli autori più bravi in circolazione. Uscire con un primo progetto come il suo era un buon biglietto da visita. Un buon ariete per il nostro manifesto. Un autore già affermato poi seguito da un esordiente. La seconda uscita infatti è quella di Luca Negri. Anche se giovane il suo Storie di uomini intraprendenti e situazioni critiche è magnifico.
Poi ti metto in tavola un’altra cosa che è un misto tra casualità e strategia, proprio perché mi piace essere sincero al 100%, Marco usciva da quel periodo di cui tutti sappiamo della sua malattia. Aveva bisogno di far entrare denaro e Stigma vuole far entrare quanto più denaro possibile agli autori, quindi era il momento giusto al posto giusto.

Marco: Èpos è il mio secondo libro post malattia. A livello di uscita. Prima c’è stato Les chat noir per Coconino, nel 2017. Che poi su Èpos ci ho lavorato nel 2015, poco prima della mia situazione. Come opera è molto importante perché volevo proprio chiudere un cerchio. Questi due libri erano la mia vita di prima e volevo chiudere. Lo stesso Brodowsky è precedente.

Akab: Ci ragionavo su questa cosa che, almeno in questi primi libri per Stigma, lo stesso libro di Cammello, una specie di andare a recuperare o salvare delle cose valide. Quello di Dario, ad esempio è fermo, da 15 anni. Un’opera che promette e deve essere salvata dalla pozzanghera. Dall’abisso.

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Siete soddisfatti del prodotto finale? Dall’idea alla realizzazione insomma.

Akab: Sì, molto. È comunque una prima uscita, attenzione. Possiamo fare di più, ma in termini di pura grafica. Possiamo spingere ancora di più nei dettagli, nelle minuzie. Brodowsky è una figata.

Marco: Ecco quello mi piace di più (in riferimento a Brodowsky). Non che sia tecnicamente superiore ma perché mi ricorda un po’ quei vecchi fumetti sgangherati.

Akab: il tipo di carta e quei colori lì hanno alzato il livello proprio. È d’impatto, non che Èpos sia minore. Messi insieme è proprio una combo bella. Sono due suoi mondi che sono lontani eppure c’entrano. Lui dice di no ma io credo di sì. Sono veramente interessanti insieme. Io ho letto prima Èpos, ovviamente, per l’editing. Dopo ho letto Brodowsky e quando cita alcuni passi ti sembra davvero di chiudere un cerchio che ti arriva in dritto in petto. Sono due storie di personaggi che stanno affrontando la fine. In Brodowsky è palese, inizia con la frase tra sette giorni devo morire etc. Anche Èpos è un ritorno a casa, vero, ma un ritorno a casa verso la fine. Sono due facce della stessa medaglia. Anche come forma. Uno ha una declinazione molto più pop, nel modo, nella narrazione, nel colore, nel modo di affascinare.

Marco, com’è stato riprendere in mano un progetto di un po’ di anni fa? Hai modificato qualcosa oppure è rimasto intatto?

In verità è cambiato moltissimo, perché era a colori. Si potrebbe pensare, magari, di fare una versione sul web così com’era inizialmente. Chissà. All’inizio ho tentato di farlo con Photoshop, cioè di trasformare i colori in bianco e nero però veniva tutto pixelato e la resa era poco convincente. Per fortuna io disegno a mano, scannerizzo e coloro a PS. Per cui avevo quelle tavole già pronte e gli ho messo i grigi e poi ho riscritto. Alla fine devo dare ragione ad Akab che funziona molto di più così. È diventato molto più scarno. Ha tolto quella sovrastruttura a livello visivo che ti fa distrarre da quello che c’è sotto. Ci sono stato molto sui testi. Ci sto molto in generale, ma questo l’ho riscritto almeno 5 volte. Quando sono entrato in Stigma, si intende. In generale faccio così: faccio una prima stesura, poi lo lascio lì per due o tre mesi e poi quando si fanno i tempi per pubblicarlo, lo riprendo in mano così ho un distacco che mi rende più obiettivo.

Akab: Aggiungo solo una cosa sulla questione dei colori. Intanto, lo vedevo più con queste tonalità di grigi, per amplificare l’atmosfera di malessere che regna. Non era tanto la cosa dei bianco e nero ma sulla questione dei grigi pieni e sfumatura. Questi grigi andavano molto bene anche con questo stile super semplice, ritrovato anche in Brodowsky.

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Con questa prima uscita, con il preorder, com’è stata la risposta del pubblico?

Akab: Non avevo davvero un’aspettativa precisa, data l’esperienza. Mi ero fatto dei ragionamenti guardando tutti gli altri casi di preorder in italia di fumetti. Ho visto che più meno il range va dalle 100 copie alle 500 copie, quindi sapevo che era in quello spazio lì e noi siamo andati a 240. Intanto è stramba la situazione. Stigma è un ibrido. Ibridi gli autori, ibridi la casa editrice, ibrido il meccanismo di vendita. Arrivando a vendere 240 in preorder, abbiamo fatto abbastanza soldi da stampare tutto, compreso Brodowsky e poterlo regalare incluso nel prezzo, la percentuale di Marco, che solitamente agli autori non arriva mai a questi picchi, però in realtà il libro inizia la sua vita adesso. Cio,è noi abbiamo già coperto spese e fatto entrare soldi all’autore. Ora iniziamo a vedere a Napoli, in fiera, per vedere com’è, anche se Napoli per i graphic novel non è più la fiera di una volta. Non si vende più come prima. Anche autori grossi non hanno più le file. Detto questo, il libro, sta comunque andando. Ora son curioso di vedere come va in libreria.

Com’è stato invece il lavoro di Luca Negri?

Akab: Ne parlavo con Ratigher ed è contento di Luca. Il problema che aveva per Coconino è che risulta troppo complesso. L’ho letto, ovviamente, e devo dire che realmente è complesso. Nel senso che lui è un genietto. Essendo molto giovane fa appunto dei riferimenti a delle generazioni molto contemporanee alla sua. Lui è uno che lavora sui cliché e te li scompone, li rimonta. Quindi in un certo modo è un po’ intellettuale, nel senso che devi saperne. Ad esempio, fa dei dialoghi che sono delle prese per il culo di un certo tipo di dialoghi, ma anche da autore. In 4 Tails/9 Diamonds, ad esempio, c’è una storia che riprende Le Iene di Quentin Tarantino e l’ha portato nel futuro insomma. Ha scritto quel progetto di salto temporale l’ha portato a dei livelli che non si era mai visto, insomma.

Sospeso, recensione: La forza di rialzarsi o di restare a terra

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“Jeremy spoke in class today” Pearl Jam, Jeremy

Nel recente passato abbiamo avuto una lunga scia di opere legate ai tempi che furono gli anni '80. È un processo ciclico, fisiologico quasi, che avviene da sempre. Negli anni '90 le influenze erano quelle di 20 anni prima, ad esempio. Ora, infatti, c’è un ritorno prepotente di quel periodo che intercorre la fine degli '80 fino agli inizi del 2000. Anche nei fumetti c’è lo stesso mood. Basti pensare, facendo solo due esempi nostrani, che questo Comicon 2018 ho portato 2 opere molto interessanti, legate a quel periodo. Una è Non bisogna dare attenzioni alle bambine che gridano, del duo Ruggiero – Antonioni, edita da Eris Edizioni, l’altra è Sospeso di Giorgio Salati e Armin Barducci per Tunué. Ci sono sostanziali differenze tra le due opere ma alcuni punti in comune. Gli elementi simili sono, a parte il contesto, il tipo di protagonisti e le scelte dei particolari utilizzati, oltre ad alcuni escamotage narrativi. Specifichiamo. I protagonisti scelti sono pre-adolescenti che si imbattono nelle problematiche relative all’introduzione nel mondo adulto e le difficoltà del crescere, su tutti primi amori e ribellione adolescenziale. I particolari utilizzati e gli escamotage narrativi, riguardano i walk man e l’ausilio di una playlist di accompagnamento musicale. Mentre nell’opera di Ruggiero/Antonioni erano solo di aggiunta/contorno, se non nell’ultimo racconto, in Sospeso sono fondamentali e parte integrante della lettura.

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La storia racconta le vicende di Martino, un ragazzino che, come molti, frequenta una scuola pubblica. È diligente e ama la musica e i fumetti. Ha una cotta per Tamara, una ragazzina che frequenta la sua stessa classe e che, rispetto alle altre compagne di classe, ha i tratti sessuali già sviluppati. Come da sempre accade, c’è il bullo di turno che incute timore nei bravi ragazzi. Ivan, questo è il suo nome, è ribelle, menefreghista e dall’indole irascibile e trova sempre il modo di litigare e pestare i suoi compagni. Le ragazze sono invaghite di lui, essendo l’emblema del bad boy. Salati ci introduce nella vita di Martino, ragazzino timido, riservato e fragile, che attraversa la zona insediata dai bulletti per arrivare a scuola e, ogni giorno, è sempre una scommessa sapere se verrà pestato o meno. Una volta in classe diventa "il secchione", perché studia e, la ragazza del suo cuore, lo sfrutta per i compiti. Tutte premesse che un po’ capiamo. Ovviamente non tutti, però ci siam passati su quelle palpitazioni da prima cotta, non corrisposte. Martino, un giorno, scopre di avere dei poteri: può fermare il tempo, colpire oggetti e persone a distanza e, volare. Questo momento gli cambierà la vita.

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La narrazione si dipana in maniera lineare con i giusti ritmi e scandita da momenti realmente potenti e non scontati. La sceneggiatura è forte e ben stilata, non lascia nulla al caso e procede accompagnando il lettore perfettamente, depistandolo quando deve.
Armin Barducci utilizza uno stile spigoloso, come la storia stessa, lasciando il segno e ferendo il lettore. La palette di colori impiegata è scarna e triste e punta molto sulla malinconia, sfruttando quasi sempre colori spenti. Per alcuni momenti, quelli più spensierati invece, i toni diventano più sgargianti. Insomma la rappresentazione di un mondo grigio e piovoso, dove ogni tanto il sole esce. Solo per poco però.

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Sospeso è una lettura molto forte e cruda. Ad una prima sfogliata può sembrare un’opera soft e per tutti ma, non lo è. Racchiude i mostri della realtà e li racconta senza filtri. Se vogliamo parlare di una pecca di questo fumetto, ogni capitolo ha una playlist di accompagnamento in determinate scene con pezzi storici degli anni compresi tra il '90 e il '92. Tutto bello, fin qui, tanto che sono anche citate, stesso nel testo, le strofe della specifica canzone. Questo escamotage aumenta il pathos della lettura, come una soundtrack in un film che ti immerge ancora più in profondità nella scena. Ascoltare Them Bones e Jeremy, così come Sadness degli Enigma, ha procurato un effetto realmente potente. Dov’è quindi il problema? Questo risiede nell’interruzione e nel capture della strofa. Esempio: scena con accompagnamento degli Enigma. La lettura procede normale e, nella tavola c’è l’accompagnamento musicale: Sadness. Ora, si torna indietro e, tramite QR Code, si inserisce la canzone. La canzone è di 7 minuti e il passo citato è quasi nel mezzo, quindi bisogna trovare il minutaggio dove la strofa cantata combacia con quella scritta. Intanto ti sei fermato e devi riprendere poi a leggere. Queste continue interruzioni, da un lato smorzano l’aumentare dell’immedesimazione, dall’altro, quando combaciano, tipo Them Bones degli Alice in Chains, moltiplicano esponenzialmente il gusto della lettura e l’emotività della scena. L’idea è molto bella ma la praticità non è il massimo, anzi.

Tunué, in definitiva, porta un altro gioiellino nel suo catalogo. La cura editoriale è sempre impeccabile per un cartonato ben realizzato ad un prezzo onestissimo. Un titolo da leggere assolutamente.

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