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Lucrezia e Alice a quel paese

Per leggere l'intervista a Silvia Ziche, clicca qui.

Dato: di Silvia Ziche è difficile parlare senza dire le solite ovvietà. Disneyana ma anche autrice completa di personaggio originali, capace di maneggiare serio e faceto con uguale destrezza, artista di punta nel panorama italiano per la malleabilità dei mezzi. E il cielo è blu e gli uccellini fanno cip cip.
Dato: Silvia Ziche ha dato alle stampe Lucrezia e Alice a quel paese, cross-over tra Alice a quel paese, creatura degli anni novanta scongelata dal cattivo di turno, ingenua e idealista come solo i ventenni sanno essere, e Lucrezia, quarant’anni, una sfilza di relazioni più o meno insoddisfacenti, disillusa a tal punto da adottare Oliver, un cane che faccia da palliativo alle sue delusioni amorose, ma alla fin fine sempre legata a quel corollario di atteggiamenti tipicamente femminili.
Problema: come parlare di Lucrezia e Alice a quel paese senza scadere nel banale?

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Be’, forse la soluzione sta scritta nel manuale d’istruzioni invocato a gran voce in più punti della storia: Alice nasce con un bisogno disperato di regole e suggerimenti su come comportarsi - metafora che descriveva lo spaesamento della Ziche alla fine degli anni ottanta, arrivata dalla provincia veneta nella caotica Milano - ed è con un decalogo su come rimboccarsi le maniche che il libro si chiude. Tanto Alice quanto Lucrezia - e noi lettori con loro - hanno bisogno di norme, dettami regolatori che mettano ordine alle loro vite. E questo ordine Silvia Ziche lo trova mettendo nero su bianco i dubbi, le ansie e le angosce comuni.
Perché Alice, la controparte idealista dell’autrice, ha l’angoscia che già avevano Calvin o Linus verso il futuro, un’identità ancora da scoprire e una realtà che invece si è scoperta fin troppo ottusa, buona solo a controllare il meteo dal cellulare o la pagina dei licheni siberiani su Wikipedia. Proprio contro il web e i mezzi di comunicazione digitale l’autrice si scaglia con veemenza. Non solo Alice non si fida della rete - a ragione, visto che ne rimane invischiata - per diffondere il suo messaggio di ribellione, ma addirittura la usa per screditare il cattivo. Una visuale pessimistica di internet come strumento disinteressato alle rivoluzioni ma rapito dal gossip più becero. Insomma, per quanto abbozzata con fin troppa schematicità e mai realmente strumento di ficcante satira, la società ritratta dalla fumettista non è delle migliori e il finale, con quel colpo di coda amarognolo che attenua lo stucchevole senso di speranza, ne è l’ennesimo esempio.
Le riflessioni amorose di Lucrezia vengono qui mischiate all’universo della politica, dove il vincente è un generico “Cattivo” ripulito alla buona per buttarsi nella mischia dei partiti, proclamandosi “uno di noi” e ottenendo largo consenso grazie a promesse come l’autorizzazione a far pesare i propri traumi passati o il programma di secessione individuale dell’umanità; in questo caso le battute sono meno a fuoco rispetto alle situazioni di vita quotidiana, nelle quali la Ziche sa essere sferzante come al solito, ma la cura per gli aspetti formali vale più delle parole (la barba sfatta, l’abito spiegazzato, il nodo alla cravatta allentato, il bottone scucito).
Immutate restano le sue doti di cantastorie navigata; la trama si fa meccanismo impeccabile, conciliando ogni svolta narrativa con una battuta e ogni sketch finisce per diventare un tassello che fa avanzare la storia, intrattiene e informa. L’autrice consolida una struttura già usata in altre opere ma raramente adoperato da altri: pagine autoconclusive nella tradizione delle comic strip statunitensi alternate a splash page, vignette di formato unico. Quest’ultime, come alla fine di un percorso, riassumono la gag e la rilanciano, coagulando il nucleo tematico delle pagine precedenti in un’unica immagine, portatrice del senso ultimo.

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A livello stilistico, avere le due creazioni nello stesso volume è anche riprova dell’evoluzione del tratto, la cui unica costante è quella di un design esagerato e iconico: se Alice, labbra enormi e occhietti neri, è debitrice dello stile di Giorgio Cavazzano, nume tutelare dell’autrice vicentina, Lucrezia, con il suo naso oblungo, è creatura zichiana per gusto ed espressività.
Le tavole sono segnate dal pennino caricaturale, comunicativo nella sua estrema essenzialità, nonché dal guizzo per i momenti puramente visivi (il giornale che riduce via via lo spazio dedicato alla scomparsa di Alice, la linea di demarcazione della vignetta che prende vita e diventa l’indice zigzagante dei mercati). Quello della Ziche è un lavoro a sottrazione. Il ritmo della pagina è lento, statico, sospeso nel tempo, per poi chiudersi di botto con la battuta finale, e tutto si basa sullo scarto minimale tra vignetta e vignetta, sulla sottigliezze delle pose. Così, mente Alice legge i giornali del presente, i due piccoli punti neri che ha per occhi sono l’unica cosa che differenzia l’immagine successiva, in cui la ragazza si ritrova due cerchi strabuzzanti.

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Pur con qualche sfocatura, Lucrezia e Alice a quel paese confermano i pregi di Silvia Ziche come artista completa, che in potenza potrebbe toccare vette ancora più alte: è vero che l’inconsistenza degli sfondi ha il pregio di far concentrare l’occhio del lettore sui dialoghi e le espressioni dei personaggi, ma è un peccato che una matita così estrosa sia confinata e svilita a scapito dell’effetto comico, perché una sintesi tra comicità e valore estetico della pagina è possibile (lo dimostrano le domenicali di Calvin & Hobbes e Mutts, o Asterix, che fa un uso smodato della comicità in campo lungo, o la stessa Ziche, che in San Francisco e santa pazienza aveva raggiunto risultati simili).

Dati del volume

  • Editore: Rizzoli Lizard
  • Autori: Testi e disegni di Silvia Ziche
  • Formato: brossura, 17 x 24 cm., 144 pp., b/n
  • Prezzo: 15,00 €
  • Voto della redazione: 7
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