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I padri degli Orfani: intervista a Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari

orfani 1Ufficialmente nelle edicole da domani 16 ottobre, ma in realtà già distrubuito in alcune zone d'Italia, Orfani è la prima serie mensile a colori della Bonelli. Una rivoluzione per un fumetto che promette novità e spettacolarità. Noi di Comicus abbiamo già recensito il primo numero in anteprima, ma non potevamo non approfondire l'argomento con i due creatori Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari. Ad accompagnare l'intervista, troverete alcune immagini in anteprima esclusiva tratte dai prossimi numeri della serie.

Intervista a cura di Gennaro Costanzo (con la collaborazione di Daniele Croci e Andrea Fiamma).

Ciao Roberto, ciao Emiliano.
Partiamo dall'inizio. Come è nata e come si è sviluppata l'idea per Orfani?

Roberto: Io e Emiliano sapevamo che la Bonelli sarebbe stata interessata a un nostro progetto. Ci abbiamo pensato sopra per qualche tempo e abbiamo trovato l'idea giusta: la storia di un veterinario di creature fantastiche (unicorni, colori venuti dallo spazio, Godzilla...) e, per qualche tempo, ci abbiamo lavorato sopra. Poi, non ricordo bene perché, ma abbiamo lasciato perdere, e ci siamo concentrati su quella che era DAVVERO l'idea giusta: le vicende di un gruppo di supereroi pensionati che fuggono dalla loro casa di riposo per andare a salvare i nipoti. Anche in questo caso, dopo qualche tempo abbiamo inspiegabilmente abbandonato l'idea. A quel punto ci siamo detti: soldati in armatura sul ciglio della fine del mondo? E l'abbiamo proposta in Bonelli. La Bonelli l'ha accettata (anche perché la serie è gli è stata venduta come una serie di fantascienza bellica) e, a quel punto, p nata l'idea del colore. Io ho detto "Facciamo il primo numero a colori!" e la Bonelli ha risposto "Facciamoli tutti a colori". A noi è parsa una grande idea, a patto di poter badare noi stessi all'aspetto della colorazione. Ci sembrava una grande idea. Non sapevamo in che guaio ci stavamo andando a infilare.
Emiliano: Giocando.
Diventiamo assolutamente infantili pensando alle storie. Mimiamo le sparatorie, saltiamo sui divani, cose così.

Fin dall'inizio si è pensato all'utilizzo del colore o è stato un qualcosa che è giunto in un secondo momento?
Emiliano:
Noi avevamo proposto di fare il primo numero della serie a colori. Mauro Marcheselli ha rilanciato: coloriamola tutta. Abbiamo concordato a patto che fossimo noi a realizzare il colore.

Il colore in Bonelli è sempre stato un'eccezione ma, da qualche anno, si stanno moltiplicando le proposte che utilizzano questo elemento. Dal vostro punto di vista, come mai c'è stata questa apertura? Quanto influisce per il pubblico l'assenza o la presenza del colore per l'acquisto di un fumetto?
Emiliano: Ci sono vari fattori. In primis il costo: la differenza tra stampare il bianco e nero e stampare colore si è assottigliata rispetto a qualche anno fa. Poi non si può negare che l’enorme successo della ristampa a colori di Tex prima, di Dylan Dog poi, abbia fatto riflettere.
E poi, credo, c’è una velleità di espansione: il fumetto Bonelli vanta un venduto enorme qui in Italia, ma fatica a proporsi all’estero. Non è strano, tutte le scuole (esclusa quella giapponese) hanno grandi difficoltà a uscire dal proprio territorio d’origine, ma uno degli ostacoli del nostro fumetto è proprio il bianco e nero.

orfani01Nonostante il colore si stia diffondendo a macchia d'olio nel fumetto popolare italiano, il bianco e nero ha comunque molti sostenitori. Credete che il colore possa essere un valore aggiuntivo per una storia? Quanto lo è per Orfani?
Emiliano: Se lo usi senza criterio non aggiunge nulla, è un valore solo se lo usi come uno strumento.
Orfani è pensato per sfruttare le potenzialità narrative che ha il colore. Usiamo, ad esempio, quello che nella fotografia del cinema viene chiamato “colore emotivo”: se sale la tensione, il colore della scena vira verso toni rossi. Se un personaggio si sente al sicuro usiamo un’illuminazione che va verso il verde. Il viola è il colore del distacco e dell’irreale. Se illumini una foresta di zone verdi e zone viola, ad esempio, i risultati sono interessanti.
Sembra un approccio astratto ma non lo è.

A proposito del colore, sappiamo che sono state fatte molte prove su carta per raggiungere il risultato desiderato e che, alla fine, la colorazione effettuata su Orfani è condizionata da questo elemento. Potete dirci come si è giunti al risultato finale?
Emiliano: Io sono da sempre un appassionato di tecniche di stampa, e vado nelle tipografie da quando ero ragazzino. Mi piace molto l’aspetto “materico” della realizzazione di un fumetto: sarà che ho la propensione a stare con la testa tra le nuvole, e quei macchinari mi riportano a terra.
Quando ci hanno detto che avremmo stampato sulla stessa carta del bianco e nero sono quasi svenuto. Poi ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo trovato un modo per utilizzare a meglio quel tipo di carta (ottima ma estremamente porosa). A conti fatti è stato uno studio complicato, ma che ci ha aiutato a dare personalità. Una debolezza che si è rivelata un punto di forza.

Quali saranno le tematiche che affronterà la serie?
Roberto: La perdita dell'innocenza, in particolare modo. La maniera in cui il governo, ma più in generale "il sistema", ci comincia a incastrare e usare, e a mentire, sin da quando siamo bambini per trasformarci in adulti al suo servizio.

Roberto, hai definito Orfani un "dramma shakespeariano". È solo un riferimento altisonante o c'è una reale connessione alle opere del Bardo? E in che modo la serie si pone rispetto al mezzo teatrale?
Roberto: Ci sono amori contrastati, grandi dilemmi morali, un sacco di sangue, morte e dramma. No, non direi che il riferimento al vecchio Bill Scuotilancia sia casuale. Per quanto riguarda l'idea di una fantascienza "teatrale", è piuttosto vero. Nel senso che il nostro mondo del futuro è talmente stilizzato ed essenziale che tutta l'opera potrebbe essere raccontata al teatro senza patirne poi molto.

Come è strutturato il gruppo degli Orfani, su quali dinamiche si fonderà? Ci saranno personaggi che emergeranno o c'è la volontà di rendere tutti alla pari e dedicare ad ognuno uno spazio pressoché simile?
Roberto: Li hai mai letti gli X-Men? Ecco. La stessa cosa.

Leggendo i primi due numeri, notiamo che c'è una netta divisione fra passato e il presente in cui i protagonisti attaccano gli alieni. Questo permette di scoprire pian piano gli eventi che hanno formato gli Orfani, contrapponendoli a quelli del presente (un po' come nelle prime stagioni di Lost ma senza flashback, per intenderci). Così facendo, scopriamo lentamente i personaggi, la loro storia, le loro motivazioni. Questa struttura rimarrà fissa nell'intera serie?
Roberto: Sì. Alla fine del dodicesimo numero il tutto si chiuderà in un cerchio che permetterà di rileggere l'opera in maniera cronologica.

Almeno inizialmente, Orfani sarà diviso in due stagioni da 12 episodi cadauna. Questa distinzione che funzione ha all'interno della serie? Porterà alla semplice fine di un ciclo o dovremmo aspettarci un qualcosa di totalmente differente col 13° episodio (scenari, struttura, personaggi totalmente nuovi o stravolti)?
Roberto: Ogni stagione di Orfani sarà radicalmente differente rispetto a quella che l'ha preceduta. È un mio vezzo che mi porto dietro sin dai tempi di John Doe.

orfani02Sappiamo che Orfani attinge a piene mani dal mondo della fantascienza per rielaborare in maniera personale il tutto portando ad un risultato che, nella vostre intenzioni, risulterà originale e inaspettato. In rete è scattato un po' il giochino in cui i lettori sembrano ora vedere quell'opera, ora quell'altra. La domanda che vi facciamo non è quali sono le opere che maggiormente vi hanno ispirato, quelle da cui avete attinto di più ma, al contrario, le opere da cui più vi siete voluti allontanare. Quelle che, insomma, vi hanno maggiormente ispirato a fare l'inverso e a prendere le distanze.
Roberto: Due premesse: la prima è che l'originalità non ci interessa. Ci interessa realizzare una buona storia. La seconda è che il pubblico, specie le generazioni attuali, ha questa specie di fissazione con i rimandi, come se individuare un rimando o una citazione sa un qualche attestato di merito di "saperla più lunga degli altri". Adesso, le cose a cui abbiamo guardato sono evidenti: Fanteria dello Spazio (il romanzo), Guerra Eterna, Il Signore delle Mosche, Stand By Me, gli X-Men (quelli belli), un certo tipo di serie televisiva americana, Syd Mead, Aliens, Quake II, Halo, Terminator 2. Questo non significa che la serie sia un taglia e cuci di queste cose. Semplicemente sono cose che amo e che fanno parte non solo della mia cultura ma proprio del mio modo di essere. Ovvio che siano "traspirate" all'interno dell'opera. Ma non ci sono citazioni dirette o rimandi specifici. Anzi, a dirla tutta, Orfani è la cosa meno citazionista che abbia mai scritto. Aggiungo una cosa: il lettore medio si rifà, di solito, all'ultima cosa di cui ha memoria e conosce. Prendete l'aspetto estetico delle armature e della tecnologia di Orfani: non sono pochi quelli che hanno detto che "sembra Halo" ed è verissimo. Peccato però che Halo sia praticamente identico ad Aliens e che Aliens sia del tutto derivativo di Syd Mead (che è stata una delle nostre fonti d'ispirazione più importanti). Oggi come oggi non si può mostrare l'immagine di un ragazzino seminudo nella giungla e con un bastone in mano senza sentirsi dire "300!!!", eppure, sono ragionevolmente certo che Il Signore delle Mosche venga prima dell'opera di Frank Miller...

La volontà di attirare un pubblico nuovo (il numero 0 lanciato, così come per Dragonero, tramite Gamestop e Multiplayer) è un obiettivo dichiarato. Ma questo, nella pratica, come cambia il vostro approccio grafico e di scrittura?
Roberto: In nessuna maniera. C'è una grossa differenza tra fare comunicazione e realizzare una storia. Sono attività che amo e rispetto, ma sono lavori diversi. Su Orfani ho lavorato molto sul linguaggio, i tempi di lettura e il ritmo, ma l'ho fatto per necessità mia ed è un discorso che sto portando avanti sin dai tempi di John Doe come mia necessità autoriale.

Per quanto innovativo, è naturale che Orfani non voglia allontanarsi troppo dalla tradizione bonelliana. Quali sono gli elementi di continuità?
Roberto: Un'estrema chiarezza nel linguaggio.

Leggendo il primi due numeri, ci è sembrato che la vostra intenzione fosse di sbalordire dal lato grafico ma di non voler strafare per quanto riguarda la storia. E lo diciamo in termini positivi. Sembra che sia stato fatto un lavoro di sottrazione atto proprio a rendere il prodotto quanto più fruibile e immediato possibile (sapendo bene che le cose si complicheranno andando avanti). È effettivamente così?
Roberto: Assolutamente sì. La storia, come si rivelerà poi, è piuttosto intricata. Se fossimo partiti sin da subito rendendo le cose contorte anche a livello di scrittura, avremmo rischiato di sovraccaricare il lettore che se la doveva già vedere con un aspetto visivo molto carico. Quindi ho scelto di scrivere la storia partendo da elementi molto semplici, per poi stratificarli albo dopo albo. Vi assicuro che quando si arriverà al numero sei le cose si saranno fatte piuttosto complesse.

Molti ritengono che Orfani sia una serie che rivoluzionerà il fumetto italiano. Riflettendoci, però, se avesse il successo che merita (e lo auguriamo), la Bonelli potrebbe mettere in cantiere nuove serie a colori ma difficilmente rivoluzionerebbe il suo parco testate. Inoltre, l'alto costo del progetto può essere sostenuto solo da un editore altrettanto forte e, considerando che i bonelleidi in bianco e nero sono scomparsi quasi del tutto, difficilmente qualcuno ne seguirebbe la scia. Innanzitutto, ritenete corretta questa analisi?
Se sì, in cosa è davvero innovativo Orfani e cosa rivoluzionerà?

Roberto: Quando mi è capitato di parlare di "rivoluzione" per Orfani, mi sono sempre riferito a una rivoluzione produttiva e comunicativa. Orfani propone alla Bonelli un modo diverso di farli e comunicarli i fumetti. Se la serie avrà successo, quel modello sarò replicabile (dalla Bonelli), almeno in parte.

A proposito dei bonelleidi, sembra che (a parte qualche rara eccezione come Long Wei) questo tipo di proposta si sia arrestato del tutto dopo un buon periodo caratterizzato da molteplici iniziative. Roberto, qual è la tua analisi a riguardo?
Roberto: Molti fattori diversi. Dai problemi distributivi a quelli dei terminali di vendita (le edicole). Ma anche una scarsità di opere rilevanti e di prodotti curati e promossi degnamente. Il momento è difficile e, proprio per questo, il pubblico opera scelte più dure. Per questo bisogna dargli un'opera e un prodotto che valgano la spesa. Aggiungo una cosa ritornando sul discorso del modello produttivo: John Doe è arrivato su mercato e ha funzionato perché aveva alle spalle un modello produttivo non solo sostenibile ma anche efficace. Quel modello aveva le sue rogne e imponeva determinati sacrifici (sia per chi John Doe lo realizzava, sia per chi lo vendeva) ma ha funzionato per dieci anni. Nessuna serie che gli è stata accostata (sia dalla sua stessa casa editrice sia da altre) è stata realizzata seguendo alla lettera lo stesso modello. Si è cercato di risparmiare ulteriormente su alcuni aspetti fondamentali e il risultato è stato che John Doe è arrivato alla sua conclusione naturale dopo novantanove albi (più uno), mentre tutti quelli che gli si sono messi in scia non ci sono andati nemmeno vicini. Non è solo una questione di bontà dell'idea, di talento o di capacità. È una questione di conti e di "voler fare le nozze con i fichi secchi".

Emiliano, abbiamo già detto che il primo numero si divide a metà fra passato e presente, ambientazione terrestre e ambientazione spaziale. Quello che colpisce della tua prova è la resa grafica non solo della parte Sci-Fi ma anche di quella umana. I momenti in cui vediamo gli Orfani vagare nel bosco e interagire fra loro sono riusciti tanto quanto le spettacolari scene di battaglia sul pianeta alieno. Come hai interpretato le due fasi?
Emiliano: Ti ringrazio. L’idea è di far apparire la prima parte (quella dei bambini) assolutamente “bonelliana”, per poi cambiare di colpo ritmo e regia quando inizia la battaglia. 

orfani03Un altro elemento che colpisce è la spiccata personalità degli Orfani: sono bambini comuni ma al tempo stesso riconoscibili e con gran carattere. Parlaci della loro realizzazione grafica.
Emiliano: È la prima volta che affronto per intero il character design di una serie, ed è la fase del lavoro che ho amato di più. Passi giorni a pensare “chi è questo tizio? Da dove viene? Cosa pensa? Che tipo è? Che cos’è che vuole veramente?” e infine il personaggio esce, in maniera istintiva. Certo, poi lavori per contrapposizioni: è ovvio che se un personaggio è moro, un altro è biondo; se uno ha la mascella squadrata, un altro ha il mento sottile e così via.
Però c’erano da caratterizzare una marea di personaggi, ed ero convinto di fare più fatica.

Per la parte hi-tech c'è stato un lavoro di semplificazione per facilitare il lavoro dei vari disegnatori. Su quali elementi avete lavorato per rendere riconoscibile l'universo di Orfani?
Emiliano: Ecco. Sulla parte hi-tec la fatica c’è stata eccome. Non sono uno specialista di fantascienza e ho dovuto studiare, e molto. 
La tecnologia è da sempre l’ostacolo principale dei fumetti seriali: Cambia la mano del disegnatore, cambia il design. Su Orfani abbiamo stilizzato il più possibile: linee semplici (per modo di dire: anche così disegnare una serie come Orfani è un massacro) e “resistenti” alle differenze di segno.
Può variare lo stile, ma il mondo di Orfani resta riconoscibile.

Visto che la parte grafica in Orfani è più che mai importante, quali sono stati gli elementi fondamentali che hanno portato alla scelta dello staff di disegnatori e dei coloristi?
Emiliano: Abbiamo cercato il giusto mix di segni inusuali e disegno classico.
Ma sulla gestione del disegno Roberto e io siamo abbastanza navigati. Col colore è stato più difficile, perché andava creato da zero uno stile di colorazione. Abbiamo riunito un piccolo gruppo di amici che ci conoscono, con cui sappiamo di saper collaborare, e man mano si sono aggiunte persone con una sensibilità affine.

La Bao ristamperà a distanza di pochi mesi dall'uscita, volumi in formato deluxe che comprendono 3 storie più materiale extra. Come è nata questa scelta?
Roberto: Il fatto che la Bonelli non raggiunga il mercato delle librerie di varia e delle fumetterie mi è sempre sembrato un grande spreco e un'occasione, culturale prima ancora che commerciale, persa. Per questa ragione ho iniziato un discorso con Bao che ha portato alla nascita del volume di Mater Morbi, che è stato un grande successo, sia per la Bao che per la Bonelli. È quindi nata l'idea di offrire ai lettori una seconda edizione di Orfani pensata per quel mercato. Volumi più corposi (trecento pagine e passa), carta di pregio, grande formato, copertine rigide. Il tutto venduto ad un prezzo giusto ma impegnativo (intorno ai ventisette euro). L'opera è la stessa ma il modo in cui viene proposta, il settore in cui viene commercializzata, il pubblico a cui si rivolge, sono completamente diversi.
L'abbiamo messa in programma così a ridosso dell'uscita da edicola proprio per sfruttarne il lancio e cavalcare l'onda ma, visto che alla Bonelli come alla Bao interessava rispettare i propri lettori, abbiamo deciso di comunicare tutto prima ancora che Orfani uscisse in edicola, per dare modo all'acquirente di scegliere e di non trovarsi a comprare due volte le stesse storie.

Un'ultima domanda: che disco consigliate ai lettori da mettere in sottofondo durante la lettura del primo numero?
Roberto: Space Oddity di David Bowie.
Emiliano: Helter Skelter.
Sentitela fino a che le urla “Il caos sta arriverà presto, il caos arriverà presto” non vi abbiano sfasciato i vetri di casa.

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