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L'Uomo D'Acciaio: recensione

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di Davide "Myskin" Giurlando

l-uomo-d-acciaio p rFinalmente, dopo anni di attesa, il rilancio di Superman è uscito nelle sale. Due premesse di natura autobiografica:
1- Dopo averlo scoperto piuttosto tardi, sono stato per circa 12 anni un grande appassionato di Superman. Dal 1998 al 2011, ho recuperato del personaggio tutto ciò su cui era possibile mettere le mani: albi storici, volumi di narrativa, da Maggin a Pasko, dalla Cenisio alla Play Press. Dico questo non per dimostrare chissà quali quarti di nobiltà, ma semplicemente per premettere che l’universo supermaniano ha rappresentato una parte importante della mia esistenza personale, e avevo molte speranze nella riuscita di questo film (speranze, non aspettative: che ho cercato di mantenere realistiche per tutto il periodo della lavorazione). Inoltre, vorrei con ciò giustificare il fatto che - per una volta venendo meno alle regole di un’analisi oggettiva - questa recensione sarà scritta in prima persona.
2-Non ho mai amato i film di Superman con Christopher Reeve, nemmeno i primi due. Non mi hanno mai detto nulla. Ovviamente riconosco loro una fondamentale importanza storica nell’evoluzione del cinema d’intrattenimento, ma credo che altri film che possono fregiarsi del medesimo attributo - per esempio I predatori dell’arca perduta - siano anche opere infinitamente più valide dei Superman storici. Mi verrebbe da dire, come credo sia oggettivo riconoscere, che si tratta di lavori datati; ma la verità è che personalmente li trovavo insulsi e pretenziosi anche quando ero bambino. Se questi film avessero rappresentato il mio unico approccio all’universo del personaggio, probabilmente non sarei mai diventato un appassionato delle storie di Superman. Credo inoltre - anche se chiaramente non è colpa dei registi e produttori originali - che questi film abbiano gettato per troppo tempo un’ombra lunghissima su tutte le trasposizioni successive, da Smallville al fallito Superman Returns, ingabbiando il personaggio in un’unica, stagnante versione e impedendogli un’autentica evoluzione estetica e narrativa (a differenza - per esempio - di quanto avvenuto con Batman). L’insistenza quasi fanatica con la quale molti fan chiedevano la ripresa del tema musicale di John Williams, nonostante il film di Zack Snyder si presentasse da subito come un rilancio, è un esempio che la dice lunga sulla difficoltà che si incontrano nel far digerire qualsiasi approccio alternativo al mito supermaniano.
Detto ciò, veniamo al film, che dal momento dell’uscita ha suscitato tra i critici americani reazioni a dir poco contrastanti. Sul sito di Rotten Tomatoes la valutazione è più bassa di quasi tutti i film di supereroi di recente realizzazione, e - nonostante RT sia un sito tutt’altro che affidabile - non posso negare che al momento di entrare in sala molto del mio interesse si era raffreddato. Non che mi aspettassi un capolavoro, ma quantomeno speravo in un film decente.

Seguono SPOILER.

L’Uomo d’Acciaio è in pratica una sorta di remake di Superman II, mescolato con il racconto della giovinezza di Clark Kent e della scoperta delle proprie origini da Superman I. Ci sono in pratica tutti i topoi classici delle storie di origini supermaniane, riletti con una sensibilità moderna e qualche variazione sul tema: Smallville, il rapporto con il padre, l’adozione del costume, seguiti da uno scontro con il Generale Zod e gli esuli kryptoniani malvagi. Manca completamente la classica dinamica Clark Kent/Daily Planet, tanto che per certi versi il film potrebbe essere considerato un lungo prequel al Superman classico. Ovviamente assente Lex Luthor, mentre Lois Lane ha un ruolo sorprendentemente importante: praticamente coprotagonista, al pari del Jor-El di Russell Crowe, che si è sudato la paga assai più di Marlon Brando nei film classici.
Su questa struttura tutto sommato prevedibile, il film cerca di costruire un approccio più maturo e serio (o forse serioso) al mondo supermaniano. Superman è qui una sorta di Super X-man, un outsider spaventato dai propri poteri e ossessionato dalla ricerca delle proprie origini. C’è inoltre un tentativo molto insistito di porre al centro del film interrogativi etici “importanti”, sulla natura del libero arbitrio (la Krypton de L’Uomo d’Acciaio è una distopia/utopia ossessionata dall’eugenetica che deve molto al proprio corrispettivo fumettistico ideato da John Byrne negli anni ‘80) e sulla scelta che Clark Kent deve fare tra la rinascita di Krypton e la sopravvivenza della terra. Probabilmente questa visione, nelle intenzioni realistica (o almeno realistica per quanto possa esserlo un film su un uomo volante) è frutto dell’apporto di Christopher Nolan alla produzione e al soggetto, o almeno dell’ovvia volontà da parte dei produttori Warner di replicare il successo della trilogia del Cavaliere Oscuro proponendo una visione analoga anche con Superman.

Giusto per arrivare subito all’interrogativo più importante: L’Uomo d’Acciaio è un brutto film? Personalmente la risposta che mi sento di dare è no. L’Uomo d’Acciaio non è un brutto film. È un film discreto, non inferiore alla media delle pellicole supereroistiche di recente fattura (il filone dei Vendicatori, per intenderci) e per alcune singole sequenze lievemente superiore (anche se molto, molto più grave e meno ricco di scene umoristiche e leggere). Il problema, però, forse sta proprio qui. Visti i nomi coinvolti, l’impegno profuso e l’aspettativa (si può dire che fosse uno dei film di supereroi più atteso in assoluto, fin da prima di Superman Returns) era davvero lecito aspettarsi di più. Invece, i mille temi “profondi” e importanti sollevati nella prima parte scompaiono nella seconda, in un profluvio di battaglie davvero mozzafiato e impressionanti (anche se la CGI fa capolino un paio di volte) ma lunghissime. L’unico argomento portato avanti con molto rigore dall’inizio alla fine è quello della rivelazione di Superman al mondo, ma non si entra mai davvero nel vivo delle sue motivazioni etiche e della sua volontà di fare del bene piuttosto che disinteressarsi dei problemi degli umani (un difetto, quest’ultimo, purtroppo spesso presente anche nei fumetti). Inoltre, non manca quasi nessuno dei classici cliché che colpiscono spesso le produzioni di questo genere: buchi di sceneggiatura, alcuni dialoghi davvero micidiali (un’intera sequenza ambientata a Smallville, incentrata  su uno scambio tra un prete e Clark prima della rivelazione al mondo di quest’ultimo è completamente superflua per non dire irritante), stereotipi (l’uccisione del padre-mentore da parte dell’avversario di turno, che non aggiunge granché all’equilibrio della storia), un piano del cattivo quasi incomprensibile. Nulla di nuovo, intendiamoci, ma dato che è dai tempi del Batman di Tim Burton che questi pesantissimi elementi saltano sempre fuori c’è da chiedersi quando, finalmente, saranno definitivamente aboliti dalle pellicole a sfondo supereroistico.

Ovviamente, come era prevedibile, quasi tutti i difetti del film sono dovuti alla sceneggiatura di David Goyer, che è assai più grossolano come scrittore di quanto non lo sia Zack Snyder come regista. Si tendono a rivolgere molte critiche all’autore di 300, ma gli va dato atto che per L’Uomo d’Acciaio ha completamente stravolto il proprio stile abituale, rinunciando a quasi tutte le sue consuete rozzezze e presentandosi con un’estetica per lui nuova (curata peraltro - pare - in gran parte personalmente), a metà tra l’approccio plumbeo di Nolan e un’impronta semidocumentaristica. Visivamente parlando, L’Uomo d’Acciaio è un film affascinante e riuscito, che pone Snyder qualche spanna al di sopra di pessimi mestieranti come Jonathan Liebesman e Joseph Kosinski, anche se come direttore di attori ha ancora molto da imparare.
Quanto a Goyer, c’è veramente da sperare che il suo, ormai scontato, apporto futuro a film tratti da personaggi della DC Comics si limiti a soggetti o prime bozze di sceneggiatura, consistentemente revisionati da autori più abili. Una limata a cura di un Michael Chabon avrebbe davvero fatto miracoli anche per L’Uomo d’Acciaio. Certo, Goyer era anche dietro la trilogia del Cavaliere Oscuro, generalmente considerata - con molte ragioni - l’apice qualitativo raggiunto nel campo dei film supereroistici (e anche al di fuori del genere) insieme ai primi due Spider-Man di Sam Raimi. Tuttavia, in quel caso, la visione e il rigore di Nolan - uno dei registi di maggior talento in assoluto presenti sulla scena hollywoodiana negli ultimi anni - contribuivano a  far passare in secondo piano molti scivoloni, dando un ritratto davvero potente e significativo, pieno di situazioni coinvolgenti, del cosmo batmaniano. Per L’Uomo d’Acciaio - film senza dubbio inferiore al prototipo batmaniano - certi difetti risaltano di più, anche perché è molto meno presente quella struttura a microepisodi, composta da piccoli film compatti all’interno del film più grande, che aveva notevolmente arricchito i film di Batman: il lavoro di Snyder è concentrato su una storia e solo quella. Non credo sia un caso che alcune delle sequenze più interessanti siano da rintracciarsi tra quelle meno verbose e poco condizionate da complicati effetti speciali: tutta la prima ora in Alaska, con Clark quasi muto, è piena di interesse e di fascino, così come la fuga di Lois Lane dall’astronave dei kryptoniani con l’ausilio dell’onnipresente fantasma di Jor-El (un effetto speciale semplicissimo, ma utilizzato con molta efficacia), e soprattutto l’addio di Jonathan Kent, che con un singolo gesto della mano riesce a esprimere perfettamente il carattere del personaggio (o meglio di questa versione del personaggio, che presenta alcune interessanti variazioni sul papà Kent classico).

Per il resto: Krypton è splendida, frutto davvero di un grande lavoro di scenografia, e gli attori sono tutti in parte, anche se purtroppo non sempre ben diretti. Pur con tutti i suoi difetti, comunque, L’Uomo d’Acciaio è un film dotato di una sua dignità: al di là di una generica curiosità personale, non mi è venuto da chiedermi con rammarico come sarebbe stato questo Superman se lo avessero realizzato Mark Millar e Matthew Vaughan, o Darren Aronofsky, o uno qualsiasi dei nomi che sono stati a lungo in lizza prima che il timone venisse affidato a Snyder. E certamente non ho rimpianto Superman Returns. Mi sono sentito insomma abbastanza soddisfatto, a patto di non aspettarmi - come però sarebbe anche stato lecito, visto che il moderno filone supereroistico ha ormai superato il decennio di vita - una versione supermaniana del Cavaliere Oscuro. È senz’altro un peccato, comunque, che questo tipo di cinema, a eccezione dei soliti Raimi e Nolan, stenti ancora a decollare e diventare “grande”, liberandosi da infantilismi, pretenziosità e aspirazioni acchiappa-soldi a universi cinematografici condivisi (come è stato esplicitamente detto, un successo commerciale de L’Uomo d’Acciaio fungerà da apripista per immancabili seguiti, spin-off e film corali in stile Vendicatori).

Le valutazioni negative mi sono comunque sembrate onestamente esagerate, e sono convinto che molte critiche - non tutte, ma molte senz’altro sì - derivino da una forma di pregiudizio nei confronti dei supereroi in generale, e del personaggio in particolare. Avviarsi a vedere questo film con la convinzione ferrea che Superman si debba attenere a un modello preesistente preciso, che la fedeltà al fumetto vada prima di tutto e che la versione di Christopher Reeve sia quella ideale significa solamente prepararsi a una delusione cocente. Questo film è un reboot totale, che abolisce molte delle convenzioni abituali su Superman e rimanda quasi tutte le situazioni classiche a un sequel. E, pur con tutti i suoi problemi e goffaggini, è un film coerente e dotato di un suo senso. Una delle pietre dello scandalo, ossia il modo in cui Superman sconfigge il cattivo, risulta assai più problematica e incoerente nelle discussioni tra gli appassionati del personaggio che nella resa cinematografica: nel film, la radicale decisione di Superman è chiaramente presentata come una scelta obbligata, non ripetibile e presa a malincuore, nonché in parte ricercata dallo stesso Zod. Senza contare che, nel corso della lunghissima storia editoriale di Superman, situazioni molto simili, se non addirittura più forzate, ci sono state anche in celebri saghe fumettistiche.
Lo scrittore Mark Waid, uno dei più grandi appassionati dell’Uomo d’Acciaio, si è sentito oltraggiato dal film e ha dichiarato che, nelle intenzioni dei suoi creatori originali, Superman - come Braccio di Ferro - non era un personaggio progettato per affrontare complessi dilemmi morali. Pur avendo un grandissimo rispetto per il talento di Waid, personalmente credo che abbia torto, o meglio sia talmente accecato dall’amore per il decano dei supereroi da non rendersi davvero conto di quanto questa mentalità, peraltro molto diffusa tra scrittori e appassionati, abbia impedito una reale evoluzione di Superman nel corso dei decenni. Sia perché i creatori originali dei personaggi non sempre sono anche coloro che ne colgono l’essenza migliore (in quanti, oggi, avrebbero dubbi sul fatto che lo scrittore più importante di Daredevil è Frank Miller e non Stan Lee?), sia perché far affrontare al personaggio sfide narrative, evolverlo, rifiutare le consuetudini preesistenti è il miglior modo, se non l’unico, per garantirne la sopravvivenza e la versatilità. Mantenere certe convenzioni a oltranza significa rendere il personaggio fragile come la carta velina, svuotarlo di significato. Non a caso, il personaggio più forte in assoluto della DC Comics è Batman, il cui territorio narrativo ideale è quello del dubbio; mentre Superman, finora, ha vissuto nella certezza. È vero inoltre che il Superman iniziale era simile a Braccio di Ferro, che peraltro è stato il protagonista di uno dei più grandi fumetti di tutti i tempi; ma Waid trascura di dire che, a parte qualche saltuario omaggio e alcune strisce tenute in vita più per nostalgia che per convinzione, Braccio di Ferro è anche un personaggio la cui vita narrativa è oggi praticamente finita, morto e sepolto com’è nel passato di E. C. Segar e Bud Sagendorf.

Con ciò non intendo sostenere che L’Uomo d’Acciaio debba necessariamente rappresentare il modello principale per tutte le future versioni di Superman; credo anzi che tra meno di un decennio, quando si sarà completata l’immancabile trilogia o tetralogia cinematografica di Superman o della Justice League, potrebbe essere il momento giusto per un ulteriore rilancio, al cinema o nei fumetti; seguito da un altro, e un altro ancora. Credo tuttavia che proprio in questa molteplicità di versioni, di voci, e di revisioni, si dimostri l’autentica facoltà di sopravvivenza del personaggio; non nella ricerca di un Superman definitivo (che probabilmente non esiste), ma nella possibilità che tutte queste versioni, inevitabilmente provvisorie, siano in grado di generare storie interessanti e coerenti e di imprimersi nella memoria di nuove generazioni. Non so dire se Goyer, Nolan e Snyder avessero davvero in mente quest’obiettivo, ma forse L’Uomo d’Acciaio costituisce un fatidico primo passo per potersi disfare delle pastoie che per troppo tempo hanno bloccato Superman e permettergli di tornare a volare.

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